CISM-Religiosi: anticipare il futuro

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Ottanta presenze di provinciali o loro collaboratori, quattro giorni di lavoro intenso, cinque relazioni, quattro esperienze, diverse ore dedicate ai “lavori ai tavoli” (sulla scorta dell’esperienza sinodale), tre lectio, il ritmo quotidiano della preghiera, un duplice incontro con i vertici della Conferenza episcopale italiana (presidente e segretario CEI), l’incontro con specialisti di gestione e di amministrazione pubblica: sono alcuni dei tratti più caratteristici della 64a assemblea della Conferenza italiana superiori maggiori (CISM, Assisi 4-8 novembre).

Il tutto volto a identificare alcuni segni di futuro per la vita consacrata dopo aver indagato l’anno scorso i sogni e la profezia e concludere il ciclo l’anno prossimo con possibili indicazioni di percorso. Un triennio animato con discrezione dal Centro studi Missione Emmaus.

Raccolgo i lavori attorno a quattro temi: la crisi, le esperienze, il cuore, le istituzioni.

La Scrittura nei tempi difficili

I provinciali e i responsabili non hanno bisogno di dilungarsi sui segni della crisi della vita consacrata in Italia. La vivono nella loro carne, nel servizio dell’autorità, nelle decisioni che devono prendere, nei numeri e nell’invecchiamento, nella gestione degli immobili, nel ridisegno territoriale delle province. I numeri dicono molto (nel 2012 i religiosi erano 18.000; nel 2019, 15.000) ma i vissuti sono assai più complessi, drammatici e intriganti. Non è casuale che il tema abbia trovato spazio e sviluppo soprattutto nelle dimensione biblica delle lectio proposte.

Don Giacomo Perego (paolino) lo ha fatto attraversando il racconto di Elia al torrente Cherit (1Re 17,1-6; 19.1-18), la tempesta sedata (Mc 6,43-52) e il primo viaggio apostolico di Paolo (At 13). Tutte e tre sono situazioni drammatiche, di pericolo, di fallimento e di crisi. Tutte e tre sono attraversate dal riferimento al pane (per la sopravvivenza) alla solitudine (pericolo di vita, incomprensione dei discepoli) e alla notte (difficoltà di vedere il futuro).

Dom Donato Ogliari, abate di san Paolo fuori di Mura a Roma, è ricorso al racconto dell’interpretazione da parte di Giuseppe del sogno del faraone relativo alle vacche e alle spighe (Gen 41,1-8. 25-33) e all’annuncio dei sette anni di abbondanza e dei sette anni di fame. E poi ricorrendo al racconto del naufragio di Paolo (At 27,13-25. 35-44).

I testi rappresentano un invito «a riconoscere come nella nostra vita e nel nostro operato possano alternarsi tempi di magra e tempi di grassa. I nostri stessi istituti sono passati, negli ultimi anni, da un tempo esuberante e turgido di vita – pensiamo ad esempio, a quando essi prosperavano numericamente e le attività apostoliche erano floride – a un tempo di prova, in cui, oltre alla constatazione della riduzione dei membri e delle attività, si sperimentano un certo smarrimento e forse anche un po’ di paura nei confronti di un futuro che si preannuncia incerto.

Il racconto degli Atti attesta «che anche nelle situazioni umanamente più disperate, quando cioè non vi è più neppure la “scialuppa di salvataggio” che era stata prevista, si può sempre fare affidamento su qualche appiglio impensato e imprevisto che ci permette di continuare il cammino, mantenendo vive la fede, la speranza e la carità».

Rinascere

Nella relazione iniziale il presidente, p. Luigi Gaetani (carmelitano) annotava: «Oggi nel mondo occidentale, sta accadendo qualcosa che è già accaduto, che colpisce tutti gli istituti religiosi: carenza di vocazioni, piramidi demografiche invertite, con molti anziani nel vertice e pochi giovani alla base, nonché molte uscite dalla vita religiosa. Questa situazione generalizzata causa incertezza sul futuro della Chiesa e della stessa vita religiosa e, in molti casi, ingenera un clima di paura e di panico: le Chiese dell’Occidente cristiano e le forme di vita consacrata diventeranno una minorità. I numeri attuali già offrono una lettura reale e in prospettiva della situazione».

Il presidente ricorda, tuttavia, che «nella storia della vita religiosa non c’è mai stata crisi senza una significativa rinascita».

I laici e le opere

Per questo si è posta molta attenzione ai segnali in grado di aprire il futuro, di dare continuità alla fecondità carismatica, di scoprire nuovi orizzonti.

Un primo segnale è il coinvolgimento dei laici nelle proprie opere, non solo in termini di volontariato e di aiuto, ma nelle responsabilità apicali. Il caso presentato riguarda la circoscrizione Piemonte – Valle d’Aosta dei salesiani.

Nell’ambito delle opere più rilevanti per la scuola, su 33 grandi istituzioni, 5 sono già affidate anche come direzione a dei laici. L’orientamento è attivo da un decennio ed è motivato dalla dimensione “laicale” già presente nella spiritualità di Francesco di Sales e di don Bosco. Si persegue una corresponsabilità non come male minore e solo in ragione della contrazione dei numeri ma per la constatazione della dimensione carismatica anche nei laici.

Si è partiti dalla riflessione sulle singole opere affidando a un salesiano il compito di avviare e perfezionare il processo. In contemporanea, si è sviluppata una modalità formativa specifica cercando una configurazione giuridica adeguata e convincente. Ci si è orientati più sull’ente ecclesiastico che sulla fondazione. Il coinvolgimento coi dipendenti non è stato privo di tensioni e domande. Un’attenzione parallela si è sviluppata anche con le amministrazioni locali.

Così si è arrivati ai consigli di indirizzo (presenti i laici e i rappresentanti dell’istituto) che presiedono al funzionamento dell’opera. Una complessa operazione, non priva di resistenze interne, ma che mostra come la presenza laicale possa alimentare l’originalità carismatica e sviluppi una nuova consapevolezza nei religiosi sull’essere tali piuttosto che sul fare.

Missioni al popolo

Una seconda esperienza è stata presentata dai frati minori dell’Umbria. Il ministro provinciale, fr. Francesco Piloni, ha raccontato la riformulazione dell’attività delle missioni al popolo.

Patrimonio importante della attività pastorale dei frati veniva organizzato in passato con un grande investimento di consacrati in un preciso arco di tempo (generalmente una settimana). L’accordo era con i parroci e, una volta svolto il proprio ministero, si ritornava ai propri conventi. Gli ultimi capitoli suggerivano l’opportunità di rinnovare lo strumento indebolito dalla scarsità dei confratelli e dal minore impatto sulle comunità cristiane.

I frati si sono chiesti che cosa significasse una conversione pastorale in tutto questo. Così, in ragione della corresponsabilità di tutti i credenti, dell’itineranza come vocazione specifica ma anche come indirizzo ecclesiale e della missionarietà si sono riviste le forme del servizio. Si parte con una presenza nell’assemblea parrocchiale (una o più) che identifica gli elementi di necessità e fa emergere anche persone adatte e disponibili alla missione parrocchiale.

La loro formazione si prolunga nel tempo e la celebrazione della missione le coinvolge a pieno titolo con i frati, dando modo di prolungare successivamente la missione e di entrare con maggiore efficacia nel vissuto cristiano delle comunità parrocchiali. Si tratta di dare una dimensione missionaria alle comunità dei fedeli.

Trasformare la governance

Una terza esperienza riguarda i gesuiti. L’ha presentata con efficacia e coinvolgimento il provinciale (scaduto da qualche giorno), p. Roberto Del Riccio. In questo caso si è trattato di rinnovare la governance interna in fedeltà alle costituzioni della congregazione che non prevedono assemblee decisionali (a parte la congregazione generale che sceglie il preposito).

Si trattava di distribuire diversamente i compiti dei delegati in ragione delle nuova configurazione della provincia che comprende Italia, Malta, Albania e Romania: 4 paesi, 4 lingue e 380 gesuiti. Si trattava di uscire da uno schema debitore al passato (delegato per la formazione, per le comunità e per gli anziani) per nuove forme di delegati più legati ai territori e più trasversali. Un lungo processo di ascolto, di discernimento e di ipotesi di lavoro ha coinvolto una parte cospicua del corpo provinciale e un rapporto finale è stato consegnato a ciascuno.

Le resistenze sono state significative tanto da indurre il preposito generale a sostituire il provinciale, ma anche a dare via libera al processo di cambiamento che aveva trovato un ampio consenso. Fra i riferimenti dell’operazione: tornare al carisma, distinguere le comunità dalle opere, la vita comune come missione, forma non “direttiva” nei confronti dei laici, apertura alla collaborazione, condivisione della comunicazione.

I nuovi seminari

La quarta esperienza illustra l’ambito formativo ed è stata presentata dal superiore della regione Europa dei padri della Consolata, Giovanni Treglia. I discepoli di Allamano nascono col timbro dell’internazionalità. I noviziati sono continentali e gli spostamenti abituali. In una regione come quella d’Europa (Italia, Spagna, Portogallo, Marocco) il 70% dei religiosi non sono europei. Si trattava di indicare le via più efficace per la formazione teologica e ministeriale.

La figura tradizionale del seminario, le sue strutture, la sua autoreferenzialità sono apparse inadeguate. Per questo, alla periferia di Torino (Barriera Milano) è nata una comunità formativa dentro un servizio parrocchiale. Tre formatori con responsabilità pastorali e poco meno di una decina di giovani condividono la vita.

Lo studio della teologia si accompagna alla piena responsabiltà di gestione della casa, alle sollecitazioni dei servizi pastorali, alle suggestioni di un territorio marcatamente multiculturale e meticciato. Con l’esito positivo di una maggior motivazione allo studio e di una vita condivisibile con altri giovani variamente contattati.

Custodire il “fuoco di brace”

Citando la meditazione di p. Radcliffe al sinodo sr. Simona Brambilla, segretaria del dicastero per la vita consacrata, ha testimoniato dell’intensa emozione assembleare rimandando al “fuoco di brace” evocato nella “pesca della Risurrezione” in Gv 21.1-14). «Quella del fuoco è un’immagine densa e dinamica che la sacra Scrittura ama proporre.

Papa Francesco la approfondisce in diversi suoi interventi». Come nell’omelia del 27 agosto 2022: «Il fuoco di brace è mite, nascosto, ma dura a lungo e serve per cucinare. E lì, sulla riva del lago, crea un ambiente familiare dove i discepoli gustano stupiti e commossi l’intimità con il loro Signore». L’adesione alla forza del carisma, al centro personale della fede, alla profondità della vita spirituale è tornata in molti interventi “ai tavoli” come evidenza per ogni cammino di rinnovamento della vita consacrata. Solo entrando in profondità nel proprio dono carismatico si può trovare la forza e l’invenzione per il futuro del servizio dei consacrati alla vita ecclesiale.

«I carismi – ha notato p. Gaetani – sono come dei “sacramenti” dove la materia è “l’amore riversato nei nostri cuori per mezzo dello spirito” (Rom 5,5) e la forma è l’inventiva della carità». Questo cammino di autenticità «richiede una cura dell’interiorità, preghiera, capacità di confronto onesto e serio, di apertura alla grazia anche attraverso la condivisione sincera di ciò che si muove nel cuore all’interno dello spazio sicuro e sacro di una relazione di accompagnamento spirituale. In questo processo la persona saprà decifrare e comprendere le proprie mozioni, i doni, i bisogni, le fragilità, così da liberarsi da tutte le affezioni disordinate e, dopo averle eliminate, a cercare e trovare la volontà di Dio nell’organizzazione della propria vita in ordine alla salvezza dell’anima» (S. Brambilla).

Alla cura del dono spirituale di ciascuna famiglia è tornato nel suo intervento il card. Matteo Zuppi. Come anche mons. Giuseppe Baturi.

Quest’ultimo ha ricordato che il tema fondamentale è la missione e che il riferimento è sempre a Cristo. I voti disegnano alcuni fondamentali elementi di antropologia cristiana e il carisma è la porta di accesso all’incontro con il Signore. Doni carismatici e doni gerarchici si integrano nel vissuto della Chiesa e i “segni dei tempi” si approcciano non solo con l’analisi, ma soprattutto nell’avvertirli come compito. Ne derivano la partecipazione ecclesiale, la corresponsabilità e la comunione. La piena consonanza con i processi sinodali in atto ne costituisce la verifica.

Rappresentare gli istituti

Solo dopo lo scavo interiore e il rinnovamento del carisma è sensato porre in tutta la loro urgenza i temi istituzionali. A partire dalle ridefinizioni interne. Vent’anni fa le “province religiose” in Italia erano più di 200. Oggi arrivano a circa 160. È il segnale evidente dei molti fenomeni di accorpamento-fusione delle province, di unione, di soppressione che attraversano tutte le famiglie religiose.

Si stanno modificando radicalmente le distribuzioni territoriali e le forme del governo, come ha notato il canonista p. Luigi Sabbarese (scalabriniano). Ciò comporta una particolare attenzione alle procedure canoniche, ma anche ai diversi sistemi giuridici delle nazioni eureopee ed extra-europee. Tenendo conto del progressivo venir meno del favor Ecclesiae della giurisdizione italiana e straniera.

Un cammino di rifondazione e di riforme che parte dal rinnovamento interiore e ha bisogno della collaborazione dei sodali e dell’accompagnamento dei vescovi, a loro volta alle prese con la riforma delle curie. Non si tratta di questioni solo tecniche o di tattiche di sopravvivenza, ma di un rilancio del proprio carisma spirituale.

Fa parte del rinnovamento istituzionale l’avvicinamento delle due conferenze (maschile e femminile, USMI), già unificate in molti paesi europei. Una unità frenata a livello centrale, ma richiesta con convinzione dalle realtà diocesane e regionali. L’unificazione della sede e la convergenza dei processi formativi sono un segnale positivo. L’accelerazione è richiesta anche dalle interlocuzioni esterne, ecclesiali, politiche e amministrative.

Nuova attenzione in CEI

Sul versante ecclesiale la presenza del presidente, card. M. Zuppi, e del segretario generale, mons. G. Baturi è stata importante. Il card. Zuppi è stato sollecitato in un’intervista ad affrontare molte questioni aperte come il ritiro delle comunità e la vendita degli immobili, la presenza carismatica nelle diocesi, le nuove famiglie religiose, i pericolo del localismo diocesano, la vita comune dei sacerdoti, il tema degli abusi e le attese disposizioni sul rapporto religiosi-vescovi.

Sintonico con l’assemblea e vivace nelle risposte ha dato l’impressione dell’ascolto positivo con alcuni elementi di prudenza. Mons. Baturi ha fatto cenno dei temi connessi all’unificazione delle diocesi, alle riforme delle curie e al progetto di ristrutturazione della sede centrale. Non più legata al moltiplicarsi degli uffici ma strutturata per aree (sinodalità, missionarietà, diaconia) e per poli (una decina). Si passerà dai programmi ai processi su cui convogliare e unificare le forze.

Rappresentanza politica

Nuova per urgenza e complessità è l’interlocuzione con alcuni consulenti, interlocutori diretti con gli uffici ministeriali. Il caso più recente è stata la soluzione sul problema dell’assistenza sanitaria di fratelli e suore extra-comunitari. Il costo previsto di 2.000 euro all’anno è sceso a 700 dopo una chiarifica con i ministri competenti.

Ma vi sono problemi importanti come la dismissione, rifinalizzazione e vendita degli immobili, o il futuro delle opere di servizio sociale e sanitario che necessitano di competenze particolari. Per accedere alla finanza sociale, alla progettazione con le pubbliche amministrazioni, alla definizione della legge finanziaria, all’entrata e all’azione nel terzo settore sono necessarie conoscenze e interlocuzioni adeguate.

E queste sollecitano una “rappresenta politica” della CISM-USMI e CNEC (Centro nazionale economi comunità religiose) in grado di far pesare i particolari “interessi sociali” del mondo delle istituzioni religiose. Basti pensare alle istituzioni scolastiche e al mancato compimento della legge istitutiva della parità scolastica del 2000.

Ne hanno parlato in assemblea Gabriele Sepio, Massimo Merlini e Flavio Pizzini raccogliendo un consenso di massima dei “tavoli sinodali” per l’alimentazione di un osservatorio tecnico e legislativo, dando vita a laboratori e a tavoli di lavoro sui singoli problemi e garantendo una comunicazione attraverso una newsletter.

CISM e USMI che erano nate nel post-concilio per sollecitare e favorire le riforme e la sensibilità dell’assise e dei suoi documenti si trovano oggi a dover rivestire un ruolo “politico” di rappresentanza per le nuove esigenze imposte dalla crisi interna e dal ruolo dell’economia sociale. Si tratta di passare, come ha detto p. Gaetani, «dalle politiche di favore a quelle della equità e della giustizia».

Abusi e mediocrità

La parte finale dell’assemblea è stata dedicata al problema degli abusi. P. Amedeo Cencini (canossiano) ha fatto un quadro complessivo sui percorsi fatti e le prospettive futuro all’insegna dell’“elaborazione del lutto” che lo scandalo richiede.

Dopo una prima fase di sconcerto e vergogna si sta passando ad una sensazione di saturazione, a un certo rallentamento delle reazioni e delle decisioni anche per la scarsa coerenza degli istituti apicali di riferimento. È diventato comune, ma non universale, il passaggio dalla denuncia delle “mele marce” alla consapevolezza di un problema di sistema.

Non si percepisce ancora che il punto decisivo è non adattarsi alla mediocrità, non ignorare la responsabilità di tutti, non delegare il problema ad altri e sapere ascoltare in profondità le vittime. È necessario sentire la vergogna del male che è stato compiuto, chiedere perdono e bloccare gli abusatori.

Solo dando luogo a un sistema immunitario e difensivo prende ragione e spazio il recupero del fratello abusante. Il cantiere è ancora aperto. In sintesi l’appuntamento di Assisi si qualifica su due polarità maggiori: l’ancoraggio al carisma e lo sviluppo “politico” della conferenza.

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