Il 1° ottobre del 1944 le SS di Walter Reder massacravano alla canapiera di Pioppe di Salvaro quarantasei uomini, tra i quali don Elia Comini, salesiano, e p. Martino Capelli, dehoniano (o, come si diceva allora, Sacerdote del Sacro Cuore di Gesù), dopo averli detenuti per due giorni, ammucchiati in una stalla, privi di vitto, di giaciglio e di igiene. I due religiosi avevano ottenuto di poter andare liberi, ma avevano preferito rimanere con i loro compagni: “O tutti o nessuno”, aveva risposto don Elia.
Don Elia Comini e padre Martino Capelli, erano stati catturati mentre cercavano di portare soccorso alle vittime della rappresaglia di Creda e costretti a trasportare munizioni per i soldati.
All’imbrunire, tolte le scarpe e gli orologi, li avevano fatti sfilare davanti alla Botte, l’invaso che, alimentato dal fiume Reno, costituiva la riserva d’acqua per la produzione di energia della manifattura. Al loro passaggio sulla passerella avevano aperto il fuoco e li avevano falciati con le raffiche di due mitragliatrici.
Gli uomini del secondo gruppo furono obbligati a gettare sul fondo melmoso del bacino alcuni corpi rimasti sul bordo e poi a passare a loro volta in fila indiana davanti alle mitragliatrici. Per finire l’opera, gli aguzzini avevano gettato nella fossa alcune granate a frammentazione.
Di quei quarantasei, si salvarono in sei, nascosti sotto il cumulo dei cadaveri: tre di loro morirono poco dopo per le ferite riportate; gli altri tre, feriti in modo più leggero, usciti nottetempo dalla botte, poterono raccontare l’accaduto.
Uno di loro ricorderà come, aggrappato alla tonaca di p. Martino, l’aveva visto riscuotersi dall’agonia e, alzatosi, tracciare il segno della croce sugli uccisi prima di cadere a braccia aperte in avanti. Quella croce nera distesa sul fango della Botte fece di p. Martino l’unico caduto riconoscibile nel groviglio dei corpi.
Per più giorni le SS avevano impedito ai parenti di avvicinarsi ai cadaveri. Infine, avevano aperto la chiusa, dando sfogo alle acque del fiume che, ingrossato dalle piogge di stagione, aveva disperso le spoglie delle vittime, senza che fosse più possibile recuperarle.
Già a partire dal 29 settembre del 1944, tutto il crinale tra la valle del Reno e la valle del Setta, con al centro il Monte Sole, era stato circondato da circa mille soldati, alcuni dei quali italiani della Guardia nazionale repubblicana. Divisi in quattro plotoni, avevano rastrellato l’intera zona con una manovra a tenaglia, per non lasciare sfuggire nessuno. Avevano bruciato le case, ucciso gli animali e le persone. Il bilancio dei sette giorni di eccidio sarebbe stato di 770 vittime di cui 216 bambini, 142 ultrasessantenni, 316 donne.
Quest’anno 2019 ricorre il 75° anniversario delle stragi compiute nei territori dei comuni di Monzuno, Grizzana Morandi e Marzabotto.
Le comunità del Collegio Internazionale e della Curia Generale dei Sacerdoti del Cuore di Gesù (Dehoniani) hanno compiuto un pellegrinaggio al Parco storico di Monte Sole, organizzato dalla Postulazione generale per commemorare la figura di p. Capelli.
La causa del p. Martino è alle fasi conclusive. Entro Natale la Postulazione dovrebbe presentare una Positio super martyrio, che verrà esaminata alla Congregazione dei santi all’inizio del nuovo anno.
I confratelli dehoniani, con il padre generale, Carlos Luís Suarez Codorníu, e diversi consiglieri, hanno ascoltato al Poggiolo un breve racconto sulla situazione delle comunità di Monte Sole e sulle vicende connesse al passaggio del fronte di guerra, la cosiddetta Linea gotica, e il conseguente piano tedesco di eliminare qualsiasi ostacolo in vista dell’imminente ritirata.
Poi sono saliti a San Martino, visitando il cimitero, il luogo del ritrovamento del corpo di don Fornasini, parroco di Sperticano, e i ruderi della chiesa parrocchiale, con l’altare sistemato per le commemorazioni annuali dell’arcidiocesi bolognese.
Da lì hanno proseguito per Caprara e poi fino a Casaglia, visitando la chiesa distrutta dalle bombe e il cimitero, ove avvenne la fucilazione di oltre 117 civili inermi, con i segni delle pallottole a sbrecciare i mattoni e le pietre del muro anche all’altezza dei 52 più piccoli.
La giornata mite e luminosa ha favorito il silenzio raccolto davanti ai luoghi memori, al tempo stesso, della più vile ed efferata ingiustizia e della testimonianza indomita dell’innocenza e della fedeltà quotidiana. La preghiera è continuata nella Via Crucis che dal cimitero ritorna alla chiesa, ricordando il sacrificio di don Ubaldo Marchioni, ucciso ai piedi dell’altare.
Dopo un veloce pranzo al sacco, i confratelli sono scesi a Pioppe per la celebrazione dell’eucaristia, organizzata dalla Postulazione salesiana insieme all’Associazione dei parenti delle vittime nel cortile del Tacchificio Monti, con la presenza del vicario generale della diocesi e presieduta da p. Carlos.
Al termine, tutti si sono recati in processione alla Botte, cantando le Litanie lauretane che, pregate sommessamente quel giorno da don Elia Comini, avevano accompagnato gli ultimi passi delle vittime.
Delle rose rosse sono state lanciate sul fondo della Botte a omaggio dei martiri e dei loro compagni. La lettura di un brano della Pacem in terris di Giovanni XXIII ha preceduto la solenne benedizione conclusiva.