- Si è aperto domenica 16, con la celebrazione dell’eucaristia, il XXV Capitolo generale della Congregazione dehoniana. Condividiamo con le nostre lettrici e lettori di SettimanaNews l’omelia di p. Carlos Luis Suárez Codorniú.
Nella seconda lettera che il seminarista Dehon scrisse ai suoi genitori nel novembre 1865, meno di un mese dopo il suo arrivo al Seminario di Santa Clara, disse loro:
Vi ho parlato del mio trasloco nella mia ultima lettera: ora è completo. Questa vita tranquilla e ordinata, anche se attiva, è esattamente ciò di cui avevo bisogno. Sono grato e felice di prepararmi con lo studio e la preghiera a rendere qualche servizio alla Chiesa. Non pensi che ve lo dica per soddisfarvi: viene dal profondo del mio cuore. Dio mi ha chiamato qui per darmi la felicità.
Cari fratelli e amici, è emozionante celebrare l’Eucaristia questa domenica presso il Pontificio Seminario Francese di Santa Chiara, che ci ha così gentilmente aperto le sue porte, nel giorno in cui iniziamo il XXV Capitolo Generale della Congregazione.
Nel frammento di lettera che vi ho appena letto, P. Dehon disse alla sua famiglia che il Signore lo aveva chiamato a Roma, in questo seminario, per “concedergli la felicità”, per “renderlo felice”. Senza volerlo, quel giovane Dehon, ancora lontano dal dottorato in teologia, attraverso una lettera così familiare, ci dà la chiave della chiamata di Dio: “per essere felici”.
Qui, in questo luogo dove ci troviamo, il seminarista Dehon iniziò una nuova tappa del suo cammino cristiano. Difficilmente avrebbe potuto immaginare allora come Dio avrebbe interagito con lui nel corso degli anni.
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La Parola di Dio di oggi, in un certo senso, ci parla di interazione. Mentre la leggevo per prepararmi a questa omelia, mi sono venute in mente due storie. Sono di epoche e contesti diversi. La prima è la storia della Creazione, quella che occupa le prime pagine della Scrittura. Perché pensarci?
Nell’insieme delle letture di oggi, ci sono molte parole utilizzate nelle prime pagine della Bibbia, tra cui: giorno, notte, terra, frutti, alberi, piante, uccelli e anche uomo. Di lui si dice:
- che lavora, guarda e dorme
- che un giorno gli verrà chiesto “cosa hai fatto”?
- che deve andare d’accordo con la natura e i suoi ritmi
- che non conosce tutto
- che conosce la lontananza e l’esilio di Dio
- che desidera Dio ed è in grado di confidare in Lui
Sappiamo che la creazione è stata la fine del dominio del caos e delle tenebre. Non è stato invano che la ruah di Dio si è librata su entrambi. Nel paesaggio presentato da Ezechiele, Dio si eleva sopra l’albero e la montagna più alti e interviene su di loro: taglia, pianta, sposta, umilia, solleva, asciuga e infine li fa fiorire. Dio stesso dice che alcuni alberi avevano bisogno di imparare. Sono gli alberi “del campo” (Ez 17:24).
Presentati in questo modo, sembrano essere associati al serpente della Genesi, il più astuto degli animali “del campo”. Come il serpente, tutto suggerisce che il grande albero, e altri con esso, stavano cercando di occupare lo spazio di Dio. Con la sua alta chioma, l’albero punta e si protende verso l’alto in modo insaziabile, come se fosse l'”albero di Babele”, la versione in legno di un’impossibile torre di mattoni. Ma l’intervento di Dio alla fine trasformò il paesaggio, riparandolo. L’arroganza dell’albero presuntuoso è stata soppiantata dall’offerta del nuovo albero, capace di dare frutti e di offrire i suoi rami distesi come casa e riparo per gli altri.
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La seconda storia che accompagna la riflessione sulla Parola è tratta da un testo che ci è stato dato dalla Chiesa dieci anni dopo la fondazione del nostro Istituto. Lo conosciamo come il Decretum Laudis:
Tra i rovi e le spine che crescono ovunque nel nostro secolo, nella città di S. Quintino, diocesi di Soissons, nell’anno 1878 è germogliata, come fiore grazioso e profumato, la pia Società denominata dei Presbiteri del sacratissimo Cuore di N.S.G.C. di Soissons, il cui scopo è quello di far sì che i suoi membri (alumni), rinunciando agli affetti terreni, si abbandonino in tutto al Divin Cuore e si sforzino di accendere sia in se stessi sia nel prossimo quel fuoco che Nostro Signore è venuto a portare sulla terra e che altro non vuole se non che divampi.
Conosciamo la storia di questo testo e quanto abbia significato per l’ulteriore sviluppo della Congregazione. Il piccolo seme che Dio ha piantato nel cuore del nostro Fondatore è sbocciato: in lui, nella vita di altri religiosi, in nuovi luoghi e in diverse opere. La Chiesa ha mostrato il suo apprezzamento per tutto questo. Grato, P. Dehon proclamava spesso quanto Dio fosse buono con lui e quanto teneramente fosse guidato da Dio in mezzo a tutto ciò che viveva e a tutto ciò che accadeva, anche a dispetto dei suoi stessi errori. Niente gli faceva perdere la speranza e la fiducia nel Signore.
Le parole dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato oggi sono valide anche per la vita del nostro Fondatore: “camminiamo infatti nella fede e non nella visione -, siamo pieni di fiducia…” (2Cor 5,7-8). San Paolo alimentava la sua fede e la sua speranza imparando e condividendo con le comunità ciò che Gesù faceva e diceva, anche in parabole, come quelle che abbiamo ascoltato oggi.
Sono parabole che ci parlano del desiderio di Dio di dare la vita, non in un modo qualsiasi, ma coinvolgendo l’intera creazione. Il Dio Padre che Gesù ci rivela, non si accontenta dell’esclusività o del protagonismo competitivo. Quello che cerca è la collaborazione, fin dall’inizio dei tempi. Vuole collaboratori che, come la terra, sappiano accogliere e aspettare, come fece Maria. Collaboratori che imparino ad accompagnare i processi e a rispettare il tempo, anche senza capire cosa stia accadendo, come accadde a Pietro con Gesù, il seme misericordioso del Padre. Collaboratori che sanno essere attenti e accettare di essere discepoli, ma senza cadere nel volontarismo o nel rigore.
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L’albero alto e il piccolo seme subirono delle trasformazioni affinché potessero avere una nuova vita e mettere a disposizione il meglio di sé per la vita degli altri. Questa è la dinamica del Regno dei Cieli, che umanizza e rende feconda la storia. Altre sono più rumorose, ma sterili. Sono le dinamiche della ‘campagna’, per usare l’espressione della Parola di oggi. Abbondano nel nostro mondo, mascherate da progresso e felicità contagiosa, ma allontanano dalla libertà genuina dei figli di Dio e dalla felicità che nasce nell’accettazione delle Beatitudini.
Come si sentiva libero il nostro amato seminarista in questa casa! Anche nella semplicità della sua stanza:
La mia camera è modesta, ma molto pulita e sana. È alta e ariosa, con vista sul tramonto. Ho un letto, un tavolo, due sedie, un armadio e un appendiabiti.
Da allora, quel piccolo seme, coltivato anche nella semplicità della sua stanza, è cresciuto. Siamo parte del frutto che Dio ha piantato nel cuore di Dehon. Siamo cresciuti, certamente agli occhi degli uomini. Non so se siamo cresciuti quanto i cedri del Libano, ma certamente più degli alberi che ci circondano nella nostra residenza romana. Ma avremo l’opportunità di parlare di questo e di molte altre cose nei prossimi giorni.
In ogni caso, che la santa ruah di Dio si alzi sopra gli alberi e sopra la nostra casa in questi giorni. Che possa aleggiare su ognuno di noi, aiutandoci a capire, come fece Gesù con i suoi discepoli, spiegando loro la Sua parola. Forse è proprio nelle nostre Costituzioni che lo Spirito ci viene in aiuto. Lì ci lascia una bella esegesi dehoniana di quella che, a mio avviso, è la sintesi della Parola oggi:
Alla sua sequela, noi dobbiamo vivere
In una solidarietà effettiva con gli uomini.
Sensibili a quanto nel mondo attuale
ostacola l’amore del Signore,
attestiamo che lo sforzo umano,
per arrivare alla pienezza del Regno,
ha bisogno d’essere continuamente
purificato e trasfigurato
dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo (Costituzioni, n. 29).