Francesco d’Assisi, uomo di pace

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La pace è un desiderio profondo di ogni persona, di ogni popolo e cultura. L’esperienza della guerra genera disperazione. Nel corso della 101ª Assemblea della Unione Superiori Generali (di cui abbiamo dato conto su SettimanaNews2 giugno 2024) si è dato spazio alla riflessione sul tema della pace, cogliendo dalla vita di san Francesco gli spunti per un impegno dei consacrati per la pace nel mondo.

L’attualità di Francesco d’Assisi

Per aggiornare il messaggio di san Francesco è necessario entrare «in un’altra logica». Una logica dalla quale non si può semplicemente ricavare un «ricettario» di idee, ma un orizzonte luminoso davanti al quale leggere la storia e le sfide legate alla pace. È stata di qualità la proposta offerta dai rappresentanti delle famiglie francescane.

Fr. Carlos Trovarelli, ministro generale dell’OFM conventuali, ha contestualizzato l’azione di Francesco in favore della pace. Le strutture politiche ed ecclesiastiche della società contemporanea a Francesco non erano molto fraterne: anzi, erano piramidali e teocratiche. I leader politici erano decisi a estendere i loro poteri; la Chiesa dominava quasi tutto, compresa la cultura. Per mantenere la pace, la società – e anche la struttura ecclesiastica – usava le armi. La guerra condotta dalla gerarchia ecclesiastica (le Crociate) era considerata santa e giusta.

In questo scenario, Francesco, ormai convertito, ha saputo proporre e difendere un’opzione spirituale, comunitaria e sociale per la vera pace: la pace evangelica, una pace «disarmata» e fraterna. Si è impegnato ad evangelizzare coloro che hanno generato conflitti e guerre. Ha proposto nuovi metodi di costruzione della pace. Erano metodi semplici, frutto della sua esperienza di Dio. Per lui la pace nasce dalla Parola di Dio e dall’espropriazione interiore.

La sua proposta è alternativa ai sistemi che governano il mondo, utopica perché, dal Vangelo, sente l’urgenza di convertire il mondo. La predicazione utopica di san Francesco spinge per modifiche che sembrano impossibili, agisce con una «coscienza anticipatoria» in cui l’utopia è: «portare all’esistenza ciò che ancora non esiste» ma che è possibile «anticipare» a partire dal Vangelo. La sua utopia è libera, critica, creativa, dinamica. Provoca chi si installa nei propri spazi di potere o chi crede che qualcosa di diverso non sia possibile.

La concezione che ha del mondo e della Chiesa nasce da Cristo crocifisso. Egli sostiene che Dio ha una chiave di lettura diversa da quella della Chiesa medievale, e diversa dalle strutture generate dal desiderio di profitto, dall’egoismo, dal potere, o semplicemente dal peccato.

A dire il vero, Francesco non emerge come un «fungo» nel suo contesto. Durante il XII e il XIII secolo, la società fu in grado di formare organizzazioni corporative che evitarono lo sfruttamento e il dominio dell’uno sull’altro. Erano corporazioni di artigiani il cui commercio si regolava direttamente e secondo il principio del «prezzo equo». Questo spirito di solidarietà e di fraternità fiorì in quei secoli ancora abitati da arie feudali.

Francesco e i suoi compagni non si sottraggono a queste aspirazioni popolari, ma anzi le riprendono e le radicalizzano con la fede nel Vangelo di Gesù. Tuttavia, i rapporti di produzione, in linea di principio fraterni ed egualitari, videro presto la nascita di un primo capitalismo, con i suoi nuovi padroni: il profitto e il denaro. Francesco rifiuta questi nuovi «signori».

Le basi di una pace stabile

Il santo di Assisi capì che la pace interiore in Cristo poteva, di conseguenza, pacificare il suo ambiente. Per questo amava contemplare la mitezza che è Dio: «Tu sei bellezza, tu sei mitezza»: scrive nelle Lodi dell’Altissimo (LauDei 6). In effetti, il merito del metodo di Francesco è stato quello di far riconoscere a entrambe le parti, in primo luogo, i propri errori e, in secondo luogo, il terreno comune. Da qui nasce una pace che offre una garanzia di solidità, perché frutto di una convinzione interiore, più che di un patto diplomatico.

Ricordò ai belligeranti che bisognava avere un cuore disarmato, senza odio, senza spirito di vendetta o di risentimento. Gli esempi più emblematici sono: la storia del lupo di Gubbio narrata nel capitolo 21 dei Fioretti, il viaggio in Egitto, totalmente disarmato in piena Crociata, e l’incontro con il sultano Al-Malik Al-Kamel a Damietta.

Tutte queste scene parlano di Francesco come di un cercatore creativo di pace, le cui iniziative avranno un impatto decisivo sulla configurazione dell’immaginario sociale. Insegna a cercare percorsi e processi che non rinuncino all’aspetto spirituale, alla matrice comunitaria e al coinvolgimento sociale, ma metodi semplici, che nascono dalla «povertà di spirito», e che possono essere convertiti in proposte evangelicamente alternative per la pace.

«Pace a questa casa»

In questa originale carrellata di letture fatta dalle diverse famiglie francescane, interessante è quanto offerto da fr. Darko Tepert, ofm, partendo dalla lettura evangelica di Luca.

Negli scritti di Francesco, più che le citazioni esplicite, troviamo numerose allusioni ai testi della sacra Scrittura. Si ha l’impressione che tali testi siano diventati parte integrante della sua vita e fondamento del suo annuncio, in quanto parte della sua esperienza personale.

I testi del Vangelo di Luca possono essere visti come quelli che hanno ispirato uno stile francescano di missione, o uno stile di comportamento, pacifico e riconciliante. Solo in questo vangelo troviamo il saluto: «Pace a questa casa» (Lc 10,5), ripreso poi dalla Regola non bollata. Secondo questo vangelo, Gesù è colui che porta la pace. Già nel momento della sua nascita l’esercito celeste canta della pace sulla terra agli uomini (cf. Lc 2,14).

Nelle biografie di san Francesco si possono trovare diversi esempi in cui lui si comporta come uno che ha capito questo messaggio del Vangelo di Luca e che cerca di portare la pace alle “case”. L’esempio più ovvio e più noto certamente è il suo incontro con il sultano.

Però, anche se si guarda il suo atteggiamento verso la Chiesa e soprattutto verso la gerarchia della Chiesa, che poteva sentirsi criticata dalla scelta di vita di Francesco e dei suoi fratelli, non si può trovare nessun segno di conflitto, ma solo la comprensione e l’obbedienza.

Nel mondo pluralista di oggi, in cui il messaggio cristiano viene messo in questione anche nei paesi tradizionalmente cristiani, si deve assumere l’atteggiamento di Francesco, l’atteggiamento che lui ha imparato dal Vangelo di Luca. Ciò significa che, prima di tutto, è importante ascoltare gli altri, cercare di capire quelli che credono o pensano diversamente da noi.

È sempre importante accostarsi agli altri con rispetto pieno, non solo a parole, ma con gli atti concreti, cercare di parlare con le parole che possano essere comprese, trovare i modi per avvicinarsi a tutti. Per poter assumere questo atteggiamento, è necessario rinunciare a ogni conflitto, alle parole che possano offendere o allontanare. Occorre rinunciare ad avere sempre ragione e permettere agli altri di esprimersi liberamente e pienamente.

Oggi si è testimoni di mancanza di rispetto verso coloro che, nella Chiesa, pensano diversamente da noi, dell’uso di parole e di giudizi forti, della mancanza dell’ascolto.

Rinunciare a ogni sorta di violenza

In queste circostanze si è chiamati a portare la pace a ogni casa. Ciò vuol dire rinunciare a ogni sorta di violenza. Il Vangelo di Luca lo sottolinea in diversi modi e particolarmente quando dice: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27).

Miroslav Volf, noto teologo protestante, nato in Croazia, ritiene che il cristianesimo in sé stesso sia non-violento, ma che non abbia tenuto fede a questo principio. Nota che le comunità cristiane spesso rimangono impotenti quando si tratta di opporsi alla violenza (addirittura, talvolta, la promuovono) e ciò non perché questo faccia parte del cristianesimo, ma perché i membri di queste comunità non hanno accolto il messaggio della fede cristiana.[1]

Qualcuno si riconosce cristiano, però gli interessi del popolo, dello stato o del gruppo diventano per lui più importanti delle esigenze della fede cristiana. Tale atteggiamento può portare anche alla violenza, fisica o verbale.

Papa Paolo VI, in uno dei suoi messaggi per la Giornata mondiale della pace sottolinea che è «falsa la pace imposta con il solo sopravvento della potenza e della forza».[2]

Il Concilio Vaticano II ha posto su un piedistallo il rispetto della persona umana e tale rispetto non può essere connesso con la violenza. L’unico anatema pronunciato da questo Concilio è la condanna della guerra totale, dicendo: «Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione dev’essere condannato» (GS 80).

Nessuna forma di violenza può essere giustificata, sia quella praticata in guerra, sia quella dello Stato, sia quella sulle coscienze delle persone.

Tre livelli dell’esperienza di pace

Di immediata evidenza le riflessioni offerte da fra Pietro Manaresi, cappuccino. Egli sostiene che Francesco vive la dimensione della pace su tre livelli.

Innanzitutto «è un uomo pacificato con sé stesso». Dal desiderio di essere «maggiore» mosso dalla logica della concorrenza e della rivalità, dentro l’amarezza di una vita affannata e segnata dal desiderio di scalare il sistema per essere più degli altri, passa alla scoperta della misericordia come dono gratuito di sé. Valorizza la dolcezza di una vita donata. «Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo» (Test 1-3: FF 110).

«È un uomo pacificante dei suoi frati». Emblematica è la “cartula” indirizzata a frate Leone: «Il Signore ti benedica e ti custodisca. Mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te. Volga a te il suo sguardo e ti dia pace. Il Signore ti dia la sua grande benedizione».

In terzo luogo «è un uomo pacificatore della società». Sente la pace come centro dell’annuncio del vangelo. In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo radunato, augurava la pace dicendo: «Il Signore vi dia la pace!». Chiede che si proponga la pace mediante uno stile di vita di uomini pacifici e giullari: «Ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole, e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene (Rb III 10: FF 85). E aggiunge: «Che cosa sono i servi di Dio, se non i suoi giullari che devono commuovere il cuore degli uomini ed elevarlo alla gioia spirituale?». Diceva questo riferendosi specialmente ai frati minori, che sono stati inviati al popolo per salvarlo (Cass 83: FF 1615).

I superiori generali si sono domandati in che cosa si possono compromettere per la pace.

Il primo compromesso è la preghiera costante, è il compromesso di tutta la vita consacrata.

Inoltre, è importante sostenere la presenza di religiosi nei conflitti: molti partecipano a iniziative di dialogo e di ricerca, occorre accompagnare adeguatamente questo importante segno. Diventano presenze che si fanno servizio alle vittime, sforzi di dialogo e riconciliazione e ricerca di pace. Si serve alla costruzione della pace accompagnando nei diversi modi quelli che soffrono violenza, accogliendo i rifugiati, promuovendo una giusta integrazione. È importante contribuire alla visibilità dei conflitti, delle sofferenze delle persone, della verità che si vive.

Le tante guerre dimenticate vedono nell’opera assidua dei religiosi segni di speranza. Il ministero pastorale, l’impegno nella formazione del clero, il dialogo interreligioso e la sensibilizzazione sociale sono elementi di speranza. Per tanti religiosi, la decisione di rimanere con la gente in questi tempi turbolenti diventa profezia e presenza pacificante.


[1] Cf. M. Volf, «The Social Meaning of Reconciliation», in: Interpretation: A Journal of Bible and Theology, 54 (2000), 158-172.

[2] Paolo VI, Se vuoi la pace, lavora per la giustizia, 8 dicembre 1971.

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2 Commenti

  1. Salfi 9 giugno 2024
  2. Fabio Cittadini 8 giugno 2024

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