Dal modo in cui si gestisce la devastante memoria degli abusi dipenderà la capacità di aprirsi al futuro: è stata la convinzione di circa 300 superiori e superiore maggiori radunati in presenza e in video a Lourdes (16-19 novembre) dalla Conferenza dei religiosi e religiose di Francia (Corref).
Compito dell’assemblea era quello di recepire il rapporto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase) che l’organismo ecclesiale aveva voluto, insieme alla conferenza episcopale (cf. SettimanaNews, qui).
Aprendo l’assemblea generale, la presidente, sr. Véronique Margron ha messo ciascuno davanti alle sue responsabilità rispetto al male commesso da religiosi e religiose verso minori o adulti vulnerabili. Non per negare il male compiuto, irreversibile e irreparabile, ma per affermare una responsabilità collegiale che deve deliberare e decidere.
Pur in mezzo alle molte e gravi questioni che la vita religiosa deve affrontare (Covid, fragilità, invecchiamento, internazionalizzazione ecc.), quando il male entra nelle case dei consacrati, «quando persone vulnerabili, bambini e adulti, sono maltrattati, è Dio in questione. Abusare di loro è abusare Dio».
Numeri e parole
L’incontro diretto col presidente della Ciase, Jean-Marc Sauvé, ha confermato la gravità dei numeri e il sostegno della Ciase alle indicazioni che i vescovi hanno preso nella recente assemblea (cf. SettimanaNews, qui): l’istanza nazionale per il risarcimento, la visita canonica vaticana, il rifinanziamento del fondo (anche vendendo proprietà immobiliari), i nove gruppi di lavoro. Dopo Sauvé ha preso parola il gesuita Patrick Goujon.
Nel volume Prière de ne pas abuser ha raccontato il lungo e segreto dolore di essere stato abusato e ne ha dato testimonianza all’assemblea. Solo dopo molti decenni quello che la sua psiche e il suo fisico avevano tenuto segreto è potuto arrivare alla luce della coscienza e alla conseguente denuncia. Ci sono voluti due anni dopo la denuncia per riprendere il filo della sua vita e delle scelte compiute. «Accetto che rimangano delle ombre. Fra esse ve n’è una benevola: l’ombra di Dio. È una grazia impensabile». Per lui è stato la luce del cero eucaristico dell’altare che lo consolava da fanciullo e che lo ha condotto ora a confermare le scelte compiute (Etudes 10.2021, p. 75).
L’assemblea ha volto lo sguardo oltre ai confini francesi verso l’Africa per i particolari legami storici ed ecclesiali. «Troppo spesso – ha detto la nigeriana sr. Veronica Openibo – riamo rimaste in silenzio aspettando la fine della buriana, ma oggi abbiamo vergogna della nostra Chiesa e delle nostre ipocrite congregazioni», non siamo colpevole degli abusi, ma «osservatrici accomodanti o complici».
Rieletta con larghissimo consenso alla presidenza della Corref, sr. Véronique Margron e il suo consiglio sono passati alle decisioni operative. È stata formata una commissione indipendente di riconoscimento e riparazione, guidata da Antoine Garapon, magistrato e saggista, co-direttore della rivista Esprit.
Come figura “terza” di giustizia sarà suo compito ascoltare le vittime di religiosi e religiose, fungendo da mediazione fra la vittima e la congregazione, usando metodi e prassi in coerenza con la commissione istituita dai vescovi. Quattro i cantieri di ricerca: il rapporto fra abusi e carismi; il discernimento e l’accompagnamento dei candidati e candidate alla vita consacrata; le modifiche necessarie all’azione di governo; la cura degli aggressori.
I guadagni
La Corref è stata la prima istituzione ecclesiale ad ascoltare direttamente le vittime, la prima a raggiungere la consapevolezza di una responsabilità collegiale nel contesto degli abusi (anche se le suore hanno più vittime che attrici di abusi, avvenuti in particolare nelle nuove fondazioni), la più convinta nel sostenere la piena autonomia e il lavoro della Ciase. Suor Margron, discepola del moralista Xavier Thévenot, teologa riconosciuta e terapeuta praticante, decana della facoltà teologica dell’università di Angers, si è imposta all’attenzione della Chiesa francese e dell’opinione pubblica.
I numeri degli abusi, ormai noti, sono impressionanti: 270.000 fra preti e religiosi nell’arco temporale 1950-2020, il 3%. 330.000 se si computano anche i laici operanti nelle istituzioni ecclesiali. Le vittime stimate sull’intera popolazione francese sono 5.500.000. Non vi è ricerca specifica sul comparto religiosi/e ma tutto lascia intendere che essi/e rappresentino un terzo dell’insieme, in conformità al loro peso sul corpo totale del personale ecclesiastico.
Quando il rapporto Ciase è stato presentato (5 ottobre) «fu una giornata difficile, piena di tristezza per noi tutti e tanti altri. Ma, allo stesso tempo, per me, vi assicuro, fu anche e soprattutto una giornata di Vangelo e di un sorprendente volto della Chiesa» (sr. Margron). Emergono dall’insieme elementi di grande forza e molto promettenti. Oltre al coraggio di guardare in faccia i problemi si possono indicare quattro guadagni: l’ascolto delle vittime, il riconoscimento della responsabilità collettiva, la pratica della giustizia riparatrice e l’aiuto importante della società civile.
Ascoltare le vittime è stata la scelta che più ha modificato il quadro di percezione. I numeri dicono molto, ma le testimonianze sconvolgono. La parola delle vittime non solo ha imposto la verità, ma ha cambiato i cuori. Solo dalla loro testimonianza si è compresa la devastante forza del male compiuto sui minori. Il riconoscimento della responsabilità collegiale si è così imposto. Ciascuno avrebbe potuto scaricarsi la coscienza in ragione della scarsa rilevanza dei numeri nella propria congregazione o del fatto di essere arrivato alla responsabilità direttiva ben dopo i fatti criminosi o appoggiarsi alla resistenza passiva del corpo clericale e delle proprie comunità.
Il fatto che il corpo dei superiori e superiore, come del resto è avvenuto per i vescovi, si sia riconosciuto come soggetto di responsabilità ha aperto la credibilità dal versante delle vittime. Nell’assemblea della Corref di aprile, avviando la riflessione sulla giustizia riparativa, sr. Margron affermava: «La giustizia riparativa inverte la scena della giustizia dei tribunali: al centro non vi è l’autore del delitto, ma è la sua vittima al cuore delle attenzioni. Un processo riparativo dell’irreparabile. Affinché l’irreparabile, che resta e resterà, sia meno pesante da portare».
A questo principio si ispira la commissione indipendente di riconoscimento e riparazione. E infine, la scelta di valorizzare le competenze e le esperienze della società civile. L’autonomia della Commissione Ciase non è la resa alla società laica, ma è il riconoscimento che dalle pratiche e dalle professionalità della società laica (e dei laici cristiani) possono arrivare aiuti essenziali, come già espresso al concilio: «La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire dalla stessa posizione di quanti l’avversano e la perseguitano» (Gaudium et spes, n. 44). Si rimescolano profondamente le carte e non è escluso che a guadagnarci sia proprio il Vangelo.
Macchiarsi di questi reati che producono drammi e atrocità è una vergogna. Pagheremo tutto, nonostante la comprensione e la fiducia dei fedeli cattolici nei loro preti.
Davanti all’immane vastità del fenomeno abusi di minori e persone fragili in tante parti del mondo, possibile che la Chiesa italiana non abbia nulla da ricercare in sé stessa su questi temi, che non ci siamo qui armadi da aprire, porte da spalancare, delittuose verità da ascoltare apprendere e affrontare?
Insomma, perché no una commissione di inchiesta indipendente in Italia, dove di preti e religiosi ce ne sono da sempre in numero sovrabbondante rispetto ad altri stati?
Non ci sono commenti davanti a queste atrocità. Sono solo CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ…….