Dal 21 al 25 novembre si è svolta a Lourdes l’assemblea della Conferenza dei religiosi e religiose francesi (Corref). Al tema generale (La vita religiosa in cammino di trasformazione) si sono aggiunti alcuni incontri e confronti: dalla pastora Marion Muller-Colard al gesuita Christoph Theobald, dalla biblista Beatrice Oiry a Faucauld Giuliani fondatore del DorothyCafé. Previsto, ma non discusso né approvato, un documento sui Diritti fondamentali nella vita religiosa.
Nella sua introduzione sr. Véronique Margron ha richiamato il contesto di guerra dell’attuale momento storico (Ucraina, Armenia, Israele) e gli adempimenti relativi agli abusi.
La Commissione riconoscimento e riparazione a cui sono stati affidati gli esborsi per le vittime degli abusi nella vita consacrata ha fatto sapere di aver ricevuto 800 richieste con 313 decisioni di risarcimento. Essa si sta orientando per un studio per illustrare i processi di giustizia riparativa in atto, le specificità degli abusi nella vita religiosa e un’inchiesta sul vissuto delle vittime.
Morire, ma da “viventi”
Fra i 300 presenti la consapevolezza del restringimento dei numeri della propria famiglia religiosa ha suggerito una rinnovata riflessione. «Guardare la realtà in faccia è probabilmente il principale motore della “trasformazione”. Non per lamentarsi e alimentare la paura davanti ai cali demografici dei numeri di quanti entrano, ad esempio, o per le difficoltà nella formazione, nella governance o nella relazione fra vita consacrata del Nord (del mondo) e del Sud. Guadare in faccia la realtà nella misura del possibile è anzitutto dover condividere con gli altri» (sr. Margron).
Se, fino a qualche anno fa, anche le congregazioni più fragili cercavano i mezzi per sopravvivere, ora l’evidenza dei numeri e l’anzianità dei membri hanno reso molti più disponibili alla possibilità di fusione con altri istituti similari, alla trasmissione ai laici delle iniziative carismatiche, a un nuovo equilibrio fra vocazioni del Nord e del Sud. Fino ad accogliere il senso spiritualmente pieno del “compimento”, della riconsegna del carisma alla Chiesa a cui è stato dato dallo Spirito attraverso il fondatore.
Una suora ha detto: «Ci avviamo alla morte ma vogliamo morire viventi». La garanzia della durata perpetua fino alla fine del mondo non è stata data agli istituti, ma alla Chiesa.
C’è chi, da tempo, ricorre a una governance condivisa con i laici come un piccolo istituto di suore nei pressi di Poitiers che ha trasformato le proprie attività sociali in un “polo di aiuto” verso i lavoratori agricoli e i migranti condividendo la responsabilità con i laici. «Le suore guardano al di là di loro stesse».
È una problematica che interessa specialmente l’Occidente. L’ex segretario del dicastero della vita consacrata, mons. Carballo, ha ricordato che ci sono più di 500 istituti di diritto pontificio con meno di 100 membri. La metà ha meno di 50 membri. Il che significa difficoltà a trovare uomini e donne adatte ai compiti di direzione e di guida, non poter curare il percorso formativo, affrontare senza sufficienti competenze la gestione economica (cf. qui e qui).
In Francia, su 486 istituti iscritti alla Corref sono 150 quelli con meno di 50 membri. Le monache sono passate da 5.237 nel 2000 a 2.972 nel 2020. Le religiose di vita attiva sono calate nello stesso periodo da 48.412 a 15.653. Davanti ai dati di realtà non vi è scoraggiamento, ma – come ha detto un’ospite – «voi non siete una casa di riposo, siete un laboratorio, siete attese».
Testimoniare Cristo nelle “fratture”
Dei numerosi apporti, riprendo alcune note dell’intervento del gesuita C. Theobald. È partito dalle “fessure” o “brecce” che caratterizzano la “Galilea del nostro tempo”.
La sua costellazione spirituale di riferimento è anzitutto un desiderio di interiorità e di vita sensata e coerente. Un desiderio che si fa spazio fra caratteristiche socio-culturali particolari.
La prima è un umanesimo sempre meno sicuro di sé stesso, che mette in discussione la frontiera fra uomo e mondo animale. Con una disarticolazione dei tempi: individuale, della società e del pianeta. L’individualismo apre molte contraddizioni con la società e questa con l’ambiente. Nel passato la tradizione religiosa garantiva la connessione. Ora non più, perché la società è diventata laica e pluralista. E tuttavia è riconoscibile, nella frattura, una “fede elementare”, non più confessionalmente connotata che non rifiuta il legame fra il sé, gli altri e il pianeta.
Una seconda caratteristica è relativa alla coesione sociale. Non più garantita dal comune riferimento a Dio, essa fa riferimento a una “fraternità” che trascende le legislazioni e che rappresenta un appello a una nuova arte di vivere assieme. Quello che il papa indica come «fraternità mistica e contemplativa». Nella frattura fra riferimento valoriale non più riconosciuto e casualità sociale è necessario far percepire il legame “mistico” di ogni gesto di carità e solidarietà.
Una terza caratteristica è la domanda di partecipazione alle decisioni che riguardano tutti nel momento in cui la “frattura” fra élites dirigenti (politiche, finanziarie ecc.) e la popolazione è massima. La tradizione sinodale delle famiglie religiose avverte la pertinenza della domanda.
La nuova costellazione di riferimenti è ben percepita dal magistero di Laudato si’, Fratelli tutti e dalla sinodalità della Chiesa. Ma la Chiesa, a sua volta, non avverte che la vita religiosa abita già su queste “brecce” o “fratture”, che condivide il proprio carisma, che sopporta il tabù contemporaneo verso ogni decisione che sia “per sempre” (assieme agli sposi).
Al loro interno i religiosi/e colgono la dialettica fra contemplazione e azione, fra comunità e solitudine e il passaggio fra comunità di regole che facilitava l’emersione di alcuni e la comunità di relazioni che vive in ragione della loro qualità.
Anch’essi vivono nel “provvisorio” del momento storico, ma lo vivono sotto lo sguardo di Dio, anche davanti alla prospettiva del “compimento”. L’apprendimento di un’ars moriendi (l’arte del morire) può significare l’invenzione di riforme innovative come anche il compimento della propria storia, mantenendo in ogni caso alla vita consacrata la sua funzione critica e prospettica.
Fra grazia e diritti
L’idea di una carta dei diritti per religiosi e religiose è nata dopo il lavoro della commissione sugli abusi (Ciase), come coerente sviluppo della garanzia rispetto a limiti non valicabili da autorità manipolatrici.
Sulla sostanza di tali diritti non ci sarebbero novità rispetto a quanto già presente nel Codice di diritto canonico (e civile) e nelle regole, ma la loro evidenza dovrebbe meglio garantire il singolo religioso e religiosa. Ma è stata fatta notare una possibile deriva che trasformerebbe i rapporti comunionali in rapporti conflittivi. Introdurrebbe, fin dal momento formativo, una forma contrattuale che mal si accorda con un percorso discepolare. Di fatto, la proposta non è stata votata. Sarà probabilmente ripresentata sotto forma di suggerimenti di buona condotta.
Dispiace che non sia stata votata una carta dei diritti, poteva essere significativa. Non ho compreso bene quale deriva si paventi. Il diritto canonico e le regole non sono riusciti a proteggere fino ad ora le persone dagli abusi, quindi qualcosa deve essere riveduta… La Carta dei diritti delle religiose e religiose poteva essere un passo per mettere la persona al centro anche della formazione.
Come diceva E. Salmann riprendendo Nietzsche, è necessario imparare a benedire il proprio tramonto. Da questo punto di vista, le chiese sono ancora quasi sempre ambienti s-graziati troppo pieni di male-dizioni…ma conforta vedere segnali che vanno in direzione opposta. Grazie di raccontare questi segnali.