I poveri e il futuro

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In una stagione in cui le istituzioni, non solo quelle ecclesiali, sono chiamate a re-inventare se stesse e a riconfigurare le proprie strutture per essere all’altezza delle profonde trasformazioni in atto, quello che conta in un uomo chiamato ad assumere compiti di governo è la capacità di unire competenze solide a un’umanità calorosa e sensibile, ironia nel guardare a se stesso e forza analitica nel giudicare la condizioni attuale del vivere umano.

Doti che ho potuto apprezzare, godendone la compagnia durante un comune soggiorno di studio in Germania, in p. Carlos Luis Suarez Codorniú – eletto venerdì 20 luglio nuovo superiore generale dei dehoniani, dopo che p. Heiner Wilmer era stato nominato da papa Francesco a vescovo di Hildesheim (aprile 2018).

Porta nel suo vissuto un quotidiano stare con i poveri, l’esigenza di dare forma a un giudizio di civiltà che deve avere necessariamente anche la forma di una riconciliazione di popolo (stante la crisi drammatica e la lacerazione in cui versa il Venezuela, da cui proviene), un’assiduità teologica con la Scrittura chiamata immediatamente a farsi stile di vita che plasma il modo di stare nel gioco complesso delle relazioni umane.

La passione formativa, con cui guarda alle generazioni più giovani, gli fa pensare al presente immaginando un tempo che ancora non c’è. Non si costruisce solo nella strettoia delle condizioni disponibili, ma nell’azzardo di immaginarne alcune che sono ancora tutte da creare.

Nel giro di tre anni, la Congregazione dehoniana ha tirato fuori dal cappello della sua piccola comunità internazionale due superiori generali decisamente sintonici con l’immaginario di Chiesa e di cattolicesimo radicato nella socialità condivisa del vivere umano che Francesco coltiva fin dal primo giorno della sua elezione a vescovo di Roma.

Una prossimità che non si inventa da un giorno all’altro, ma si radica nella riappropriazione del carisma del fondatore, p. Dehon, in contesti sia di trasformazione sia di profilo inedito a cui la Congregazione ha messo mano a partire dal Vaticano II (iniziando con la stesura della nuova Regola di Vita).

Carlos è il frutto di questo cammino, che ha conosciuto anche tensioni e incomprensioni vissute sempre con quella leggerezza e gioia che la fiducia nel Signore sa generare nei cuori, senza farli intristire o diventare rancorosi. Il nuovo generale dehoniano sa cosa è la vita quotidiana della gente, perché lì ha vissuto la sua fede, sa il senso di una comunità che ti porta proprio perché non è perfetta, conosce l’esigenza di giustizia che i poveri rivendicano nel nome stesso di Dio.

Ha in sé le corde di quella pazienza necessaria per la generazione di percorsi comuni, sa portare il peso del conflitto necessario per generare il nuovo che il Vangelo chiede oggi a ogni congregazione religiosa. È stato eletto per quello che è, rimanere se stesso sarà il bene più grande che potrà donare alla Congregazione dehoniana in questo nuovo compito che gli è stato affidato per la Chiesa e per il nostro mondo che vive di lacerazioni nel corpo sociale che anelano, forse senza saperlo, a una riconciliazione che è qualcosa di più di una mera stabilità politica.

 

 

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