Le 100 Assemblee USG

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L’USG (Unione superiori generali) riunita ad Assisi per la 101ª assemblea (21-24 maggio) ha fatto memoria del cammino finora percorso. Non è stato solo un appuntamento per una storia gloriosa da ricordare e da raccontare, ma un’occasione per volgere lo sguardo al futuro.

La circostanza di ritrovarsi ad Assisi, evocando san Francesco e la sua famiglia, aiuta a percepire che tutto ha un sapore evangelico. È un luogo nel quale ci si sente invitati all’esempio fedele della sequela di Gesù e a rivivere la minorità, la bontà, la semplicità e la povertà.

Un’azione dello Spirito per la Chiesa

Partendo dalla memoria, il card. Aquilino Bocos Merino ha offerto un articolato contributo per capire il significato dell’USG, il cui successo è stato quello di essere un segno di speranza nella Chiesa pellegrina. Essa non si è mai lasciata trascinare dal livellamento o dall’uniformità. La varietà dei carismi arricchisce e vivifica l’Unione, che ha sempre difeso l’identità carismatica degli Istituti membri e le loro peculiarità.

Per ragioni diverse, nel XIX secolo vi furono iniziative isolate per creare enti corporativi di istituti religiosi. Il Congresso degli stati di perfezione, tenutosi a Roma nel 1950, gettò le basi necessarie per realizzare questo tipo di istituzioni.

L’USG nacque poco dopo, nel 1952, promosso dai Padri Generali dei cappuccini, dei gesuiti e dei francescani minori. Fu presto riconosciuto dalla Sede Apostolica. Da apprezzare, in questo primo tentativo, è la ricca sensibilità ecclesiale.

Dopo tre anni di esistenza un po’ incerta ma sempre impegnata, l’organizzazione fu ufficialmente riconosciuta dalla Congregazione dei religiosi, nel marzo del 1955, con il titolo di Unione Romana dei Superiori Generali. Nel 1962 me venne approvato lo Statuto. Nel 1967, venne cambiato il nome dell’Unione, eliminando l’aggettivo “romana”.

L’USG e il Concilio Vaticano II

Leggendo la storia del Concilio e i commenti ai testi conciliari, è facile notare che, spesso, si fanno riferimenti ai religiosi, sia nelle commissioni di esperti sia nelle sessioni di studio. Inoltre, tra i Padri conciliari, vi erano 129 Superiori Generali i cui istituti superavano i 3.000 membri. Parlando dei protagonisti del Vaticano II, uno studioso ha indicato, tra le 100 figure più prestigiose del Concilio, 24 religiosi.

È vero che, secondo gli statuti, non era l’USG in quanto tale ad agire nel Concilio, ma vi partecipavano membri di spicco dell’USG e membri di istituti integrati nell’USG. Oltre a rinomati superiori generali, vi fu una costellazione di teologi religiosi che agirono come esperti, tra i quali vale la pena ricordare Congar, Browne, Balic, Betti, De Lubac, Rahner, Chenu, Tillard, Häring, Schillebeeck.

Nell’ultima revisione degli Statuti – 1990 – l’USG incentiva la vita e la missione di ciascun istituto a servizio della Chiesa per una più efficace collaborazione reciproca e un più proficuo contatto con la Santa Sede e con la gerarchia.

Altri rapporti sono importanti e fruttuosi, tra i quali evidenziamo: Il Dicastero per la vita consacrata e il Dicastero per l’evangelizzazione dei popoli; i rapporti con la Segreteria del Sinodo e la partecipazione dei membri dell’USG agli stessi Sinodi; i rapporti con l’UISG (Unione Internazionale Superiore Generali), con la CLAR, con l’UCESME, con le Confederazioni e le Federazioni nazionali. Non va dimenticato il rapporto e la partecipazione alle Conferenze episcopali continentali.

Le 100 Assemblee sono risultate occasioni per sensibilizzare sulla crisi e sulle sfide ecclesiali, culturali e sociali che gli Istituti hanno affrontato. Scommettere sulla comunione ha preparato l’humus della creatività. Le grandi proposte per il futuro, i progetti più brillanti, nascono solitamente dallo scambio di persone che pensano e guardano avanti insieme. Padre Teillard de Chardin diceva: «Non c’è forza nell’universo che sia capace di resistere all’azione coerente e coordinata di un gruppo sufficiente di cervelli funzionanti in modo convergente verso un obiettivo determinato».

Il rapporto con il dicastero

Vivace e costruttivo è stato l’incontro con sr Simona Brambilla, segretaria del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Non sono mancate le sollecitazioni a un cammino più snello con il Dicastero. I superiori generali hanno rilevato come siano talvolta difficoltosi i rapporti tra USG e Dicastero. Questo, naturalmente, dipende molto dalle persone che vi operano. Ma è anche vero che le risposte del Dicastero a volte tardano. C’è chi ha dichiarato di avere una fiducia ferita nei confronti del Dicastero, per la sgradevole sensazione, maturata nel tempo, di avere a che fare con una controparte. A volte si viene a conoscenza di decisioni senza essere stati previamente messi al corrente di quanto viene riferito ai soggetti interessati. Difficoltà e incertezze si riscontrano pure nell’individuare percorsi adeguati per gestire le problematiche dei “nuovi istituti”. Sempre attuale rimane il tema delle “mutuae relationes”.

In positivo, ci si domandava cosa si può fare insieme per promuovere il futuro della vita consacrata nella Chiesa sinodale voluta da papa Francesco. Come stilare un programma di azione e di riflessione non limitandosi a livello dello tsunami, che le difficoltà a volte sembrano generare, per volare più in alto.

Sr Simona Brambilla ha fatto presente che sta prendendo le misure di una realtà complessa, da lei mai incontrata o conosciuta prima. Percepisce che c’è un desiderio di dialogo per costruire sempre più ponti. Il Dicastero c’è perché ci sono i consacrati, è in aiuto come espressione del Santo Padre. È anche vero che, aprendo l’ufficio, l’immagine che appare è quella dello tsunami, per questo è indispensabile la collaborazione. Senza disponibilità collaborativa, il Dicastero perderebbe le braccia. Certi processi – ha proseguito sr Simona – sono inevitabilmente lunghi perché il percorso di discernimento richiede la giusta attenzione. Si è all’inizio di una reimpostazione. In una delle assemblee USG sarebbe importante mettere a tema quello che sta maggiormente a cuore, senza lasciarsi travolgere dall’emergenza. Ma occorre pure recuperare la fiducia.

In prospettiva

Il cammino di prospettiva per l’USG è stato affrontato dall’ex superiore dei salesiani, don Pascual Chavez Villanueva. Nel suo contributo egli ha ricordato che la memoria delle 100 Assemblee sono un’occasione privilegiata non solo per contemplare con gratitudine il passato, ma anche per sognare il futuro, facendo in modo che le sfide che oggi si devono affrontare si trasformino in opportunità di rinnovamento e di rilancio. Sembrerebbe – ed è un paradosso – che, quanto più il mondo ha bisogno della vita consacrata, tanto meno questa è preparata per la sua missione. Per questo motivo ci si deve saper rinnovare, affrontando difficoltà e sfide.

  1. La sfida più grande che la vita consacrata deve affrontare è sé stessa (gli atteggiamenti di rassegnazione, di pessimismo, di nostalgia del passato o di chiusura nelle strutture ecc.), ripartendo dall’avere piena fiducia che il Signore, come nel passaggio del Mar Rosso, aprirà la strada per superare le difficoltà.
  2. C’è poi la sfida del linguaggio, cioè la capacità di far comprendere la vita consacrata. Spesso ci si rende conto che le persone hanno una conoscenza limitata e distorta delle persone che vivono la vita religiosa. È necessario individuare nuove modalità per far capire ciò che si è e ciò che si vive, i valori che contraddistinguono la vita religiosa e che forse non vengono più compresi.
  3. Oggi si è sfidati a vivere il voto di povertà come stile di vita, ma anche come capacità di collocarsi sulla frontiera dell’emarginazione. Occorre lasciare che i poveri siano i maestri. La povertà va comunque vissuta anche come libertà dalle strutture che non hanno futuro.
  4. C’è una grande sfida che si riferisce alla posizione della vita consacrata nella Chiesa: sembra necessario “declericalizzare” la vita consacrata in una Chiesa che spesso si presenta molto clericale. In alcune Congregazioni il modo di esercitare il ministero sacerdotale sembra aver annullato alcuni aspetti caratteristici della vita consacrata. Questa purificazione è più che mai necessaria in una visione sinodale della Chiesa.
  5. La situazione “generazionale”, soprattutto in Europa, (tanti anziani e pochi giovani) costituisce una doppia sfida. Riguardo agli anziani, affinché non si sentano un peso nelle comunità, ma siano valorizzati come una risorsa di esperienza, di fedeltà e di saggezza. Riguardo ai giovani religiosi, utilizzando il loro linguaggio e sintonizzandosi con le loro aspirazioni e preoccupazioni.
  6. Un’ulteriore sfida è la testimonianza della comunione a tutti i livelli anche tra Istituti e tra carismi diversi chiamati a passare dalla “concordia” alla “sinergia”: incontrarsi insieme, riflettere insieme, lavorare insieme in una società divisa, che si chiude nella privacy e nell’individualismo.
Uno sguardo di speranza

Don Pascual ha manifestato la convinzione che la vita consacrata, intesa e vissuta come sequela radicale e imitazione fedele di Gesù, non cesserà mai di esistere. Ci saranno sempre uomini e donne che, affascinati dalla persona di Cristo, illuminati dal Vangelo, guidati dalla forza dello Spirito e impegnati per la piena umanizzazione del mondo, si riuniranno in comunità condividendo la stessa esperienza spirituale. La vita consacrata, infatti, è come una foresta che rappresenta una riserva e un sostegno dell’ecologia spirituale e sociale di tutta la Chiesa e del Mondo, dove la vita nasce, si sviluppa e si rende feconda. Non è un caso che Vita Consecrata la consideri una «terapia spirituale per l’umanità”» (VC 87).

Senza la vita consacrata, il corpo della Chiesa rimarrebbe privo di quei membri che, per vocazione e professione, meglio esprimono pubblicamente il modo di essere e di agire di Cristo, e perderebbe anche la sua rilevanza sociale. Quando si è tentato di combattere la Chiesa o di annullarne il peso sociale, si è presa di mira la vita consacrata, che è stata perseguitata, le sue opere e i suoi beni confiscati, arrivando in alcuni casi alla soppressione di congregazioni e istituti.

La vita consacrata si identifica in definitiva, anche se non in modo esclusivo, con la presenza della Chiesa stessa nel tessuto sociale. Basterebbe pensare all’azione missionaria della Chiesa nei luoghi più lontani e impervi, dove i religiosi sono gli unici presenti, per capire che, senza la loro presenza, verrebbe a mancare quella della Chiesa. Ma non solo: non possiamo dimenticare le finalità specifiche degli Ordini, delle Congregazioni e degli Istituti, nel campo dell’educazione, della sanità, della promozione umana, della comunicazione sociale… ecc. assicurano che la Chiesa acquisisca maggiore spessore sociale e influenza culturale.

Don Pascual ha citato padre Bruno Secondin che, con grande lungimiranza, ha saputo vivere e interpretare i segni di cambiamento presenti nel nostro tempo: «Siamo chiamati ad abitare orizzonti, a esplorare cammini, non solo a riciclarci solo per sopravvivere. Chi non anticipa il futuro non troverà un posto nel futuro».

La spinta della profezia

Oggi come ieri lo Spirito si comporta in modo libero e creativo; e può suscitare – e in effetti produce – “nuove forme” di vita consacrata, come è avvenuto in tutta la storia del cristianesimo. Rimane vero che la rilevanza sociale non dipende dalla quantità, ma dalla qualità. Da qui la necessità di tornare all’essenziale, a Cristo, al Vangelo come Regola suprema di vita, alla sequela di Cristo, umile e povero.

Efficace su questo aspetto, è stata la riflessione offerta da padre Arturo Sosa (Generale dei gesuiti). Ha presentato il voto di povertà con due immagini.

La “madre” è la prima immagine utilizzata dai fondatori della Compagnia di Gesù per spiegare la povertà religiosa. La madre è colei che genera liberamente la vita e genera la fiducia che porta al distacco totale. La povertà religiosa porta a riporre ogni fiducia nel Signore che provvederà a ciò che è necessario a coloro che scelgono di continuare nella povertà e nell’umiltà. La comunità che ama come madre la povertà evangelica e si nutre dell’eucarista diventa capace di costruire rapporti fraterni dentro e fuori di essa.

L’ospitalità è una delle caratteristiche delle comunità di coloro che professano la povertà evangelica. Seguire Gesù povero porta all’opzione per i poveri e ci si affianca alle lotte per la liberazione da ogni tipo di ingiusitizia nelle relazioni sociali e con l’ambiente. Nelle condizioni del mondo di oggi la comunità cristiana sperimenta un altro tipo di povertà: essere una minoranza, spesso perseguitata, ingiustamente screditata.

La seconda immagine è il “muro protettivo”. Nasce dal riconoscimento della fragilità della povertà evangelica come dimensione cruciale della Vita Consacrata. Molte tensioni derivano dal voto di povertà vissuto come espressione radicale della fiducia in Dio. Non dobbiamo ragionare in termini di sopravvivenza della vita consacrata e degli istituti, ma di profezia. Non si è validi perché si è utili, ma perché si è in grado di sollevare interrogativi e coinvolgere persone che vogliono condividere la passione per il Regno, incarnando la profezia di Cristo in una vita paradossale, quella del Vangelo.

La vita consacrata e la continuazione del Sinodo

La UISG e la USG hanno incaricato una commissione di sintetizzare il contributo dei Governi Generali delle religiose e dei religiosi per la seconda fase del Sinodo.

Maria Cimperman, delle Religiose del Sacro Cuore, presentando la sintesi, ha affermato che si è cercato di riportare, nel modo più accurato possibile, le risposte articolate dai gruppi impegnati nei ruoli di leadership e dai membri delle congregazioni religiose di tutto il mondo.

Le domande proposte – come collaborazione della vita religiosa per la seconda fase del Sinodo – affrontano questioni importanti per tutta la Chiesa.

La Commissione ha sintetizzato le risposte ricevute in cinque temi fondamentali: 1) Corresponsabilità per la Missione 2) Autorità, Governance e Partecipazione 3) Unità nella Diversità 4) Partecipazione delle Donne alla Vita e alla Missione della Chiesa; 5) Rinnovamento e Rafforzamento dei Ministeri e degli Organismi di Partecipazione per meglio esprimere la Corresponsabilità della Missione.

Ecco un breve resoconto delle reazioni.

  • Nel documento si parla molto del laicato, ma è poco presente la famiglia. Ci sono spinte coraggiose, ma sembra che alcuni temi siano ancora da approfondire.
  • C’è un ambito completamente scoperto che è quello della politica e dell’amministrazione della cosa pubblica; esso ha un grande impatto sulla vita in ordine alla missione.
  • I quesiti proposti ai religiosi hanno portato a parlare troppo della dimensione interna della Chiesa, mettendo in secondo piano la domanda su come essere più presenti nella realtà del mondo.
  • Sono assenti i giovani; senza di loro si perde una parte dell’energia; bisogna domandarsi come congregazioni perché non se ne parla.
  • È importante rinnovare i ministeri e l’incorporazione delle donne, ma occorre avere attenzione a non clericalizzare la ministerialità femminile.
  • Bisogna aggiungere più sostanza teologica, parlando di più di Gesù, del mistero pasquale e dei sacramenti.

La 101ª Assemblea consegna tante suggestioni non solo per celebrare o per ricordare, ma per guardare avanti rilanciando cammini e iniziative. C’è spazio per un futuro ricco di possibilità.

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