Ci sono anche nella Chiesa d’oggi situazioni o esperienze in cui spesso la realtà supera ampiamente ogni fantasia. Si fa quasi fatica a credere. Ma quando i protagonisti delle vicende, in questo caso circa una trentina di persone ex consacrate ed ex membri di Regnum Christi – ramo femminile dei Legionari di Cristo – del Cile e dell’Argentina definiscono un «inferno» l’esperienza drammatica che hanno vissuto, si può non solo credere, ma anche indignarsi.
Settimana News, il 7 settembre scorso, a firma di Francesco Strazzari (cf. qui), ha già informato dei fatti, di cui vogliamo qui parlare, citando il testo diffuso dal portale La Tercera, di ex membri del movimento Regnum Christi che sostengono una causa civile intentata lo scorso giugno contro i Legionari di Cristo per denunciare gli abusi di potere, di coscienza e sessuali da loro subiti.
La denuncia è di una donna che afferma di essere stata vittima di questi abusi.
Una denuncia circostanziata
Il portale spagnolo Religion Digital offre, in data 7 settembre 2023, un resoconto preciso e drammatico dei fatti (cf. qui), riferendosi alla lettera aperta di 32 ex consacrate del Regnum Christi, intitolata significativamente: «Le donne alzano la voce e denunciano l’“inferno” delle angherie e della semi-schiavitù nella Chiesa»:
«Siamo state sottoposte – scrivono – a un ambiente in cui l’abuso di potere e di coscienza erano comuni…»; e precisano: «Non si tratta di casi locali o isolati, ma di un male endemico che colpisce le istituzioni religiose ultraconservatrici, dai Legionari di Cristo all’Opus Dei. E anche attraverso personaggi come l’ex gesuita Marko Rupnik o l’ex onnipotente prefetto della Congregazione dei vescovi, Marc Ouellet».
Nel portale Religion Digital, Jesus Bastante riferisce così ciò che le ex religiose scrivono: «Siamo state sottoposte a un ambiente in cui l’abuso di potere e di coscienza era comune, e dove le aggressioni sessuali, descritte nella denuncia, hanno potuto verificarsi».
Le ex consacrate appoggiano la denuncia di una ex postulante contro due sacerdoti della congregazione fondata dal pedofilo Marcial Maciel Degollado, nel collegio Las Cumbres di Santiago del Cile, e chiedono un’indagine approfondita sugli abusi dovuti al predominio maschile all’interno della Chiesa cattolica, uno dei temi di maggiore preoccupazione in Vaticano, dopo lo scandalo degli abusi sessuali sui minori.
È una situazione che nella Chiesa sembra destinata a durare.
Alcuni mesi fa, il Diario.es pubblicava in esclusiva il fatto di 43 donne provenienti da Argentina, Paraguay, Uruguay e Bolivia che denunciarono l’Opus Dei in Vaticano per abuso di potere e sfruttamento, segnalando come erano state sfruttate tra i 12 e i 16 anni, lavorando gratuitamente «per servire Dio», o le recenti denunce che si sono concluse con l’espulsione dalla Compagnia di Gesù di Marko Rupnik, «artista di Dio», accusato di abusi sessuali e di potere da parte di almeno venti religiose in Italia e Slovenia.
In tutti i casi, le denuncianti parlano di «abuso di potere e di coscienza» che, a volte, culminava in situazioni di abuso di autorità e molestie sessuali.
Una prassi ricorrente
Tre anni fa, il prefetto della Congregazione per la vita religiosa, Joao Braz de Aviz, riconosceva su L’Osservatore Romano che a Roma arrivavano ogni giorno casi di suore che lavoravano a cottimo, a servizio di vescovi o preti, pulendo i pavimenti, servendo i pasti, trattate come «ragazze per ogni cosa». Subendo talora anche molestie. E anche casi di novizie che subivano, in silenzio, abusi sessuali da parte dei formatori. Addirittura – ha ammesso il cardinale – «ci sono stati casi in cui delle ex religiose hanno dovuto prostituirsi per sopravvivere».
Nel caso dei Legionari, le ex consacrate intendono ora sostenere l’ex alunna di Las Combres, raccontando le proprie esperienze, che dimostrerebbero una situazione di sistematiche molestie sessuali nel Regnum Christi, cosa che aggrava ulteriormente l’eredità del predatore Maciel, considerato «apostolo della gioventù» da Giovanni Paolo II e che – così appare nella lettera aperta – si nascondeva «sotto le spoglie di un leader carismatico, ma era un noto pedofilo e tossicodipendente, che utilizzava multiple identità attraverso documenti falsi; con numerose mogli e figli, contrariamente a tutte le norme civili di qualsiasi Paese, e peggio ancora, in contrasto con la figura sacerdotale professata dalla Chiesa cattolica».
«Questo modo di vivere è conosciuto solo da coloro che hanno fatto parte delle comunità come consacrate di questo movimento. Nessuno al di fuori di loro avrebbe modo di conoscerlo e ciò è fondamentale per capire perché il contesto riportato nella denuncia ci sembra plausibile» insistono i firmatari, che vogliono alzare la voce e fornire informazioni che, oltre a sostenere la causa, serve a raccontare «circostanze e situazioni vissute da noi mentre eravamo consacrate o membri del centro studentesco».
«Nella nostra esperienza in queste comunità – scrivono le consacrate – la storia di potere e di abusi sessuali contenuta nella causa intentata davanti ai tribunali cileni» non solo è credibile, ma contribuiva anche a creare le condizioni di un ambiente in cui tali atti potevano verificarsi, anche della massima gravità, contro le persone. Le donne consacrate dovevano rinunciare al proprio giudizio come atteggiamento di olocausto gradito a Dio, cioè come atto di totale abnegazione compiuto per amore, secondo quanto dicevano gli Statuti.
Così – affermano – «siamo state sottoposte a un ambiente in cui l’abuso di potere e di coscienza era un fatto comune e dove avrebbero potuto verificarsi le violenze sessuali descritte nella denuncia». E accusano direttamente le norme della Legione e del Regnum Christi che permettono e perpetuano atteggiamenti «inumani e dannosi», approfittando della «convinzione e della fiducia che abbiamo cercato di vivere nella lealtà e nell’amore verso Dio, senza metterle in discussione, convinte dai nostri superiori che provenivano da Dio stesso».
Sarà finalmente l’ora della verità?
Il resoconto di Religion Digital si conclude con questo interrogativo: «Cosa farà la Chiesa di fronte a questo nuovo tsunami, dal momento che la fiamma della piaga degli abusi sessuali sui minori non si è ancora spenta? Servirà a far in modo che, finalmente, le donne possano davvero avere voce e voto nella Chiesa?».
La risposta è ora affidata all’ormai imminente Sinodo dei vescovi. È noto che vi parteciperanno e avranno diritto di voto anche 70 «membri non vescovi», la metà dei quali sarà composta da donne, laiche o consacrate, in rappresentanza delle Chiese locali sparse nel mondo.
La motivazione che sta dietro alla scelta, ovvero l’uguale dignità di uomini e donne, deriva dal battesimo: in quanto battezzati, siamo tutti membri a pieno titolo del “popolo di Dio”, categoria conciliare molto cara a papa Francesco. E ciò – come ha spiegato bene il card. Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo – abilita uomini e donne a essere parte attiva della Chiesa e ad avere «voce» anche nelle istituzioni che la guidano.
L’uguale dignità delle donne è un diritto «originario» del cristianesimo e richiede forse una «presa d’atto» e una trasformazione della mentalità verso un’effettiva uguaglianza che è ancora, forse, a metà del guado. La vita quotidiana della Chiesa va avanti soprattutto grazie alla presenza costante di tante donne, impegnate in parrocchie, associazioni e movimenti.
Se la presenza femminile, in buona parte dei casi, è stimata e valorizzata grazie al «buon senso» di tanti pastori, la svolta del Sinodo ci deve rendere avvertiti che questo non può essere solo un fatto occasionale, affidato alla «buona volontà» di alcune persone illuminate, ma deve diventare prassi «ordinaria» nella vita della Chiesa intera. La quale ha iscritto nel suo DNA la parola decisiva: «Non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».
Dal Sinodo si attendono dunque risposte convincenti sul ruolo della donna nella Chiesa, la sua dignità inalienabile e i suoi carismi e si spera che tutti questi fatti di abuso abbiano presto a scomparire.