Durante il prossimo imminente viaggio in Marocco, la mattina di domenica 31 marzo, il papa si recherà a Temara, una popolosa città di 300 mila abitanti, a 20 chilometri da Rabat, dove visiterà il «Centre rural des service sociaux» gestito dalle religiose Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. Come informa l’inviata Patrizia Caiffa, in un servizio da Rabat per l’agenzia SIR (21 marzo), sarà un incontro privato tra gli ultimi delle periferie, fortemente simbolico dal punto di vista del dialogo e della convivenza pacifica tra cristiani e musulmani.
Qui tre suore spagnole curano da anni, con amore, le ferite del popolo marocchino più emarginato. Per questo le chiamano rhibat, che in arabo significa «le sorelle di Dio».
Si tratta di ferite in senso letterale, perché nel «Centre rural des service sociaux» sono specializzate nella cura delle ustioni che bambini e adulti si procurano accendendo fuochi per cucinare all’esterno di povere abitazioni. Ma anche ferite dell’anima, perché si occupano di pazienti con problemi psichiatrici e neurologici, il 70% sono minori. In più, gestiscono un centro di sostegno scolastico dove 150 bambini dai 3 ai 15 anni ricevono anche la colazione, il pranzo e la merenda.
Si prendono cura delle famiglie più bisognose e dei neonati, le aiutano con latte, pannolini e buste di alimenti. Organizzano corsi di alfabetizzazione in arabo e laboratori di cucito per 70 donne: molte non sanno nemmeno dare i resti in denaro quando fanno la spesa al mercato. Tante iniziative sociali all’esclusivo servizio dei marocchini in condizione di povertà e di emarginazione. Una esperienza cristiana in terra d’islam, basata sul più profondo rispetto reciproco.
Le tre suore, una catalana, una andalusa e una originaria delle Canarie, sono qui da tanti anni, da quando il dispensario per i poveri fondato da un gesuita francese e medico, padre Couturier, passò nelle mani delle Figlie della Carità. La congregazione ha sede a Parigi e una consistente presenza in Marocco. Attualmente nel Paese magrebino ci sono sette comunità e una ventina di suore. «Le condizioni di chi viveva in questa zona erano disumane – racconta la superiora, suor Gloria Carrilero, di Barcellona, che è qui dal 1990 –. Tante persone si ustionavano gravemente e non avevano i mezzi per curarsi. Padre Couturier le curava con pomate e fasciature apposite. Noi abbiamo mantenuto la tradizione. Ancora attualmente vengono ogni giorno una ventina di persone, soprattutto donne e bambini. Se sono ustioni gravi li mandiamo in ospedale, altrimenti vengono curati dalle nostre infermiere».
Il papa visiterà il Centro. Scrive Patrizia Caiffa: «È un posto lindo e ordinato. Appena si entra, sulla destra, c’è un colorato parco giochi per bambini. Le casette dove si svolgono le varie attività sono bianche e verdi, il giardino è curato. Si respira un’aria buona, di serenità, anche se all’esterno gran parte degli oltre 300.000 abitanti di Temara vive in condizioni di precarietà. È un territorio con molta disoccupazione, la gente si arrangia vendendo verdure al mercato, facendo del commercio informale, piccoli lavori nell’edilizia. Lo stipendio medio mensile, senza contratti formalizzati, è di 2.000 diram, circa 200 euro. Così tanti giovani emigrano e tentano la via verso l’Europa: sono i ragazzi “harraga” quelli che attraversano le frontiere pur di partire».
Meriem, l’infermiera musulmana che lavora al centro, conosce tante mamme che hanno perso figli appena ventenni in mare. «È un dolore immenso. Ma i giovani, anche se sanno che è pericoloso, partono lo stesso».
Madre di una figlia e nonna di tre nipoti, descrive l’amicizia con le suore come un legame profondo: «Siamo una sola famiglia. Loro rispettano la nostra religione e noi la loro. Preghiamo lo stesso Dio, abbiamo gli stessi valori e possiamo vivere insieme in pace».
Per le suore, la visita del papa è «un sogno». Il ricordo della telefonata del vescovo di Rabat, Cristobal Lopez Romero, che le informava, le accende ancora di grandi emozioni. «Non ci potevamo credere, anche adesso ci sembra un sogno – afferma suor Magdalena Mateo, spagnola dell’Andalusia –. Viviamo molto appartate, ben integrate nella società ma nessuno si accorge di noi. Siamo le uniche cristiane in questa zona. E il papa viene a trovare proprio noi!».
Suor Maria Quintana sorride ricordando alcuni episodi in cui la gente del posto le ha aiutate a superare piccoli e grandi inconvenienti: una gomma bucata, un piccolo incidente, un SOS nel cuore della notte. «Ci dicono: noi sappiamo che lo fate per Dio, per Allah. Sanno che siamo consacrate, che viviamo solamente di offerte. Ci considerano amiche e sorelle».
È stato chiesto: «Come accoglierete papa Francesco?». «A braccia aperte e con semplicità», rispondono in coro. «Non ci saranno discorsi ufficiali, né saranno presenti autorità. Diremo ciò che sentiremo al momento».
In realtà, i preparativi per una bella accoglienza sono già in corso: quella mattina 150 bambini canteranno in arabo, con traduzione in spagnolo, un canto di benvenuto al papa. Poi le suore lo accompagneranno ad incontrare i pazienti psichiatrici, gli ustionati, le mamme.
Forse gli faranno vedere anche la loro piccola cappella, dove una volta a settimana viene un francescano da Rabat per celebrare la messa.
«La visita di papa Francesco sarà un ricordo indimenticabile per noi – concludono –. Ci sembra incredibile che possa venire nella nostra piccola comunità al servizio dei poveri, degli infermi, dei bambini. Vogliamo dirgli che lo aspettiamo con tantissima gioia».