I religiosi alla prova del Vangelo

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servizio dell’autorità

Carisma, vita consacrata, servizio dell’autorità e testi fondativi (Costituzioni e altri): è il quadrilatero in cui si muove la riflessione di un «Laboratorio di governo» che ha dato origine ad alcuni quaderni, in supporto al compito dei superiori e delle superiore. Il primo della serie (Nel servizio dell’identità carismatica. Carisma proprio e codice fondamentale) è curato da A. Jiménez Echave, S. Gonzales Silva e N. Spezzati (Lev, Roma 2017).

Il carisma è un dono dello Spirito alla Chiesa, che trova collocazione nell’intuizione spirituale e nella vita di un fondatore e di quanti vi riconoscono una via evangelica per il proprio cammino cristiano. È un dono di Dio per l’edificazione della Chiesa. Non vi è alcuna possibilità di parlare di carismi fuori dal contesto trinitario e dalla relazione con Cristo. «Il carisma come indole propria di un progetto condiviso è identificabile per alcune costanti che permangono nell’espressione di uno stile di vita evangelico investito di una missione specifica nella Chiesa e nella società» (pp. 45-46). «Per carisma apostolico o missione carismatica si intende quella particolare abilitazione che il gruppo possiede ad incarnare nella Chiesa un progetto comune» (p. 63).

Dopo la stagione dei sospetti

Nella lettera della Congregazione per la dottrina della fede Iuvenescit Ecclesia (giugno 2016) si indicano le quattro caratteristiche essenziali dei carismi fondazionali, applicabili sia ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità più recenti, sia alla più tradizionale vita consacrata. La loro irrinunciabilità («gli autentici carismi vanno considerati come doni di importanza irrinunciabile per la vita e la missione ecclesiale»), la co-essenzialità fra doni gerarchici e carismatici («è possibile riconoscere una convergenza del recente magistero ecclesiale sulla co-essenzialità fra doni gerarchici e carismatici»), la loro permanenza (benché i doni carismatici «nelle loro forme storiche non siano mai garantiti per sempre, la dimensione carismatica non può mai mancare alla vita e alla missione della Chiesa») e il riferimento al ministero petrino, valorizzando quel particolare principio di unità che in esso si manifesta.

È utile anche ricordare i criteri di discernimento sui carismi, anche se più direttamente riferiti ai movimenti più che alla vita consacrata:

* il primato della vocazione alla santità di ogni cristiano;

* l’impegno alla diffusione missionaria del Vangelo;

* la confessione della fede cattolica;

* la testimonianza di una unione fattiva con tutta la Chiesa, sia universale che locale;

* il riconoscimento e la stima della reciproca complementarietà di altre componenti carismatiche nella Chiesa;

* l’accettazione dei momenti di prova nel discernimento dei carismi;

* la presenza di frutti spirituali;

* la dimensione sociale dell’evangelizzazione.

Tornando al quaderno citato e non soffermandosi sulle parti relative alla fonti storiche e alle dimensioni canoniche dei testi maggiori (Costituzioni, regolamenti, statuti ecc.), si registra anzitutto un lungo periodo di sospetto nei confronti del riferimento al carisma. Mentre era comune la venerazione nei confronti del fondatore o della fondatrice si manteneva un forte riserbo all’uso del termine carisma. Veniva applicato a realtà straordinarie, elevate e poco frequenti. Un elemento elitario e marginale nella coscienza ecclesiale. «Accettare un principio carismatico comportava un cambio di ecclesiologia, implicava recuperare la dimensione originaria del mistero, porre l’evento della grazia al di sopra della norma, riappropriarsi della libertà evangelica» (p. 11).

Sdoganare il carisma ha permesso di vedere e superare limiti non marginali come lo scarso riferimento alla coscienza e l’incerta relazione biblica.

Nei testi normativi della tradizione postridentina e, soprattutto, ottocentesca, la dimensione della coscienza personale del religioso o della religiosa era praticamente assente. Vi era la possibilità di un riferimento al superiore e non si escludeva il caso dell’obiezione di coscienza, ma ciò che prevaleva era la norma e l’interpretazione che di essa dava il superiore. Una condizione di subalternità che privilegiava l’obbedienza.

Scarsa rilevanza avevano la dimensione personale e la relazione fraterna o sororale. L’attenzione riconosciuta alla persona è uno dei grandi frutti della svolta conciliare.

Quanto alla Scrittura, vi era una sostanziale assenza nei testi normativi dei singoli istituti, espressamente richiesta dalla Sacra congregazione dei religiosi all’indomani del Codice di diritto canonico del 1917. Si escludevano dai testi le citazioni della Bibbia dei Padri e dei teologi (1918, 1921). Il riferimento al Vangelo era centrale per i fondatori e la vita reale dei religiosi e delle religiose ne trasmetteva la sostanza. Ma la priorità data alla norma, all’omogeneità delle forme e al sistema gerarchico ne oscurava la pertinenza.

Dentro la Chiesa e nella storia

Per questo è di grande rilievo la sicura coscienza ecclesiale anticipata dall’enciclica Mystici corporis di Pio XII e fissata nel n. 4 della Lumen gentium. Lo Spirito «guida la Chiesa per tutta intera la verità (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta comunione col suo sposo».

E al n. 12 prosegue: «Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il popolo di Dio e lo guida e lo adorna di virtù ma, “distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui” (1Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici… E questi carismi, straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto adatti e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione».

È importante rilevare «come solo alla Chiesa è assicurata per sempre la presenza dello Spirito. Ai gruppi o alle comunità religiose il dono permane solo in rapporto alla loro fedeltà al dono stesso. Il Signore non annulla il carisma, perché Dio è fedele, ma lo passa ad altri. Questa è la differenza tra la presenza perenne dello Spirito nella Chiesa e la sua presenza nei gruppi ecclesiali» (p. 64). «Un carisma come paradigma non funziona dunque a partire da sé, da una definizione più o meno rigida o profonda, funziona a partire dalla sua capacità di fornire uno schema di correttezza per la soluzione di problemi di annuncio, missione, educazione, servizi di carità: problemi di vita comunitaria e di vita secondo lo Spirito» (p. 65). Non è mai esente dalla fatica della croce.

L’allora vescovo J. Bergoglio scriveva nel 1994: «Quando il concilio ci dice che la vita religiosa è un dono dello Spirito alla Chiesa, sottolinea non solo la natura del dono, ma anche la realtà a cui il dono è offerto, la Chiesa, il corpo ecclesiale. Forse è per questo, secondo il mio parere, che è molto più ricco e intenso quanto viene detto sulla vita religiosa nella Lumen gentium di quanto si dice nel Perfectae caritatis. Questo riferimento serve per determinare la cornice nella quale si deve considerare la vita religiosa, per non correre il rischio di disorientarci e disperderci, cadendo nell’attitudine di esaltare le famiglie religiose per il loro “carisma fondazionale”, ignorando l’appartenenza alla totalità della Chiesa. La cornice è la Chiesa: la vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa» (p. 24).

L’identità da alimentare

La forza spirituale del carisma e la sua collocazione nella vita della Chiesa ne fa emergere la storicità. «La storia ci introduce in una comunità più ampia di quella nella quale viviamo oggi. Scopriamo di essere membri della comunità dei santi e della comunità dei nostri predecessori. Anch’essi hanno voce nelle nostre delibere. Noi confrontiamo le nostre percezioni con la loro testimonianza, ed essi ci invitano ad una dimensione più ampia di quella che potremmo avere negli angusti confini del nostro tempo» (T. Radcliffe, cit. a p. 44).

Il compito dei superiori e dei religiosi e religiose è quello di declinare il proprio deposito storico con quanto la Chiesa e le vicende storico-civili suggeriscono. Integrare coscienza e conoscenza storica, come suggeriva H.I. Marrou. Se l’eccessivo peso dato all’obbedienza poteva favorire un’appartenenza mortificante, il rischio opposto è quello di uno sradicamento dall’identità collettiva, verso una precarietà difficile da sostenere, a un “oggi” senza passato. «Per sopravvivere abbiamo bisogno del nostro passato e di identità collettive in cui affondare le nostre radici, così come abbiamo bisogno di una identità individuale» (P. Prodi, cit. a p. 48).

«Un carisma come paradigma non funziona dunque a partire da sé, da una definizione più o meno rigida o profonda, funziona a partire dalla sua capacità di fornire uno schema di correttezza per la soluzione di problemi di annuncio, missione, educazione, servizi di carità… In altri termini la nostra missione è intesa come spazio di creatività prodotto dall’incontro del carisma con la storia» (pp. 65-66). Il kairòs, ossia l’azione dello Spirito nell’oggi ecclesiale, conferma la radicalità evangelica testimoniata dal fondatore, ma chiede contemporaneamente ai religiosi e religiose di dare forma e visibilità a quelle intuizioni.

I pericoli attuali davanti al compito richiesto e dopo le generosità, talora infeconde, del postconcilio, sono quelli della demotivazione, della nostalgia e della paura. La sana inquietudine agostiniana si rovescia in una silenziosa dimissione dalla testimonianza. «Demotivazione e assenza di un’aspettativa di futuro entrano in un circuito vizioso: riuscire a farne un quadro di valutazione – fuori da facili allarmismi – comporta anche controllare gli effetti e, allo stesso tempo, predisporre possibili strategie di contenimento. La valutazione di aspettativa pone in essere un esercizio sulle ragioni di speranza, non legata necessariamente ai futuri assetti dell’istituto, ma come risposta alla domanda di senso che investe comunque il futuro delle comunità, al di là del tenere in piedi o meno le comunità-opere» (p. 70).

Costitutuzioni

Confermando la rilevanza del magistero postconciliare in ordine in ordine all’interpretazione cristiana della vita consacrata, assai più rilevante di quanto prodotto dalla teologia professionale, si possono indicare tre passaggi che papa Francesco chiede ai religiosi in rapporto all’emergenza dell’evangelizzazione oggi.

  1. Il superamento di una mentalità funzionale e mondana. La novità dell’annuncio non è proporzionale al nostro volontarismo, ma attinge alla sincerità della nostra fede.
  2. Poi, la conversione, sia come individui che come istituti (oltre che come Chiesa). La via settaria dei puri come l’assimilazione al tempo della sapienza secondo il mondo non colgono la sfida.
  3. Infine, la percezione della vita consacrata e della vita comune come luogo di evangelizzazione nuova. Così come si chiede alla famiglia di assumersi il proprio compito di annuncio, anche la vita comune e la consacrazione sono chiamate ad essere per se stesse testimonianza del Vangelo.

Come sottolinea suor N. Spezzati, è tempo «di risposte umili, provvisorie, per la situazione e il momento che ci è dato di vivere, risposte che, come pizzico di lievito, sono impastate con quelle delle altre vocazioni che formano la Chiesa» (p. 78).

Più concretamente, si tratta di aprire nuovi spazi di accoglienza nell’ambito educativo, sia attraverso lo studio, l’approfondimento e la diaconia della cultura, sia nel compito educativo alle nuove generazioni e per quanti vivono solitudine e smarrimento.

In secondo luogo, la capacità di coinvolgersi nel dialogo ecumenico e interreligioso.

In terzo luogo, riconoscersi la grazia di luoghi dello Spirito, di persone dedite al Signore e al suo vangelo.

Sono molte le pagine particolarmente preziose per gli istituti che sono alle prese con la riformulazione delle proprie Costituzioni e statuti e per i centri di studi storici chiamati al compito di tramandare le memorie fondative. Ma la sollecitazione trasversale vale per tutti: mettere in esecuzione il dinamismo del proprio carisma al servizio del Vangelo e della Chiesa nel cambiamento d’epoca in cui viviamo.

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