Rupnik: fra smentite e dibattiti

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Nessuna decisione definitiva è stata ancora presa relativamente a p. Marko Rupnik e al Centro Aletti. Il procedimento è ancora in corso e fa riferimento al responsabile delle comunità gesuite di Roma, p. Johan Verschueren. Il settimanale Reporter e la televisione pubblica slovena avevano annunciato la chiusura del Centro Aletti e la destinazione di Rupnik alla casa per malati e anziani di Gallarate (Varese).

La fonte informativa era il provinciale sloveno Maran Žvanut. Nessuna decisione finale neppure per la comunità dei gesuiti del Centro (comunità della santissima Trinità), una delle tre comunità che compongono il gruppo (sorelle consacrate: comunità della divina-umanità) e dei preti (fraternità dei santi Cirillo e Metodio).

Informazioni similari erano già state diffuse  a metà marzo da K. Fulgoferski, lo pseudonimo di un prete sloveno. A suo avviso ci sarebbe stato un compromesso che prevedeva la riduzione allo stato laicale del gesuita e la sopravvivenza del Centro, senza visite apostoliche e verifiche finanziarie.

Sulle finanze ha aperto un varco il Domani (15 aprile). Una società (Rossoblu, 2007), in capo a Rupnik e Manuela Viezzoli, gestisce la rendicontazione dei vari cantieri e delle opere relative. Di proprietà di Rupnik (90%) e Viezzoli (10%), a bilancio del 2022 registra 15 dipendenti, un fatturato di 1.750.000 euro e un utile di 119.000. Una iniziativa industriale che non risulta a conoscenza dei suoi superiori.

Visita ricognitiva

L’unica cosa certa è la visita “ricognitiva” e non “apostolica” che il Vicariato di Roma ha avviato sulle attività del Centro Aletti. Il riconoscimento formale di “associazione pubblica dei fedeli” proviene infatti dal Vicariato nel 2019. Il risultato non è noto. Da parte dei gesuiti l’ultima dichiarazione pubblica è di metà febbraio.

Il gruppo di ricerca riconosce alle 15 testimonianze raccolte: «Il grado di credibilità di quanto denunciato o testimoniato sembra essere molto alto». E il delegato, p. Johan Verschueren, «conferma che la varietà delle testimonianze ricevute, unite a quanto già conosciuto,  dimostra come le stesse debbano essere prese in seria e piena considerazione» (cf. qui).

P. Hans Zollner in una intervista all’inizio di marzo, riprende quanto la dichiarazione citata aveva specificato. Oltre a quelle già erogate, ci potranno essere ulteriori restrizioni sul ministero e l’attività artistica pubblica, come anche la dimissione dalla compagnia. Se risultasse l’abuso di un minore non potrebbe rimanere prete a norma di diritto. Come laico potrebbe restare nella Compagnia con delimitazioni molto precise.

Consacrate: nessuno di interpella

Da parte del Centro Aletti una comunicazione del 28 febbraio informa della continuazione del lavoro artistico dell’atelier, «oggi guidato da una équipe direzionale, in grado di assumere la responsabilità per un cantiere, sia dal punto di vista teologico-liturgico e artistico-creativo, che dal punto di vista tecnico-amministrativo».

In un documento interno la comunità delle consacrate accusano i superiori dei gesuiti di scarso rispetto delle persone di poca riservatezza e di carente apprezzamento per le valutazioni dei superiori precedenti. «A noi comunità di donne del Centro Aletti non hanno mai chiesto una testimonianza. Si cercano solo le “vittime”. E si sa che qui al Centro Aletti vittime non ne troveranno, perché per trent’anni ogni volta che il delegato è venuto in visita canonica ha trovato una comunità compatta e viva. Niente vittime. Nessuna complicità. Casomai testimonianze di gratitudine e di ammirazione… ciò che si vuole infangare, o distruggere o abbattere è l’opera del Centro Aletti, dove si testimonia che uomini e donne, sposati e celibi, cattolici e ortodossi di varie provenienze possono vivere insieme secondo il Vangelo di Gesù. Questo stile di vita presuppone una vita spirituale, una teologia con radici profonde e un amore autentico per la Chiesa».

Rimuovere i mosaici?

La discussione sulle opere musive e gli affreschi ha preso rilievo in riferimento alla loro presenza nel santuario di Lourdes. Il 27 marzo il consiglio di orientamento del santuario ha avviato una discussione in merito. Persone vittime di abusi, provenienti da diversi paesi, hanno fatto notare la problematicità della presenza di quei mosaici.

Il santuario, destinato a raccogliere la memoria della Chiesa francese sugli abusi e luogo di guarigione per i pellegrini può sopportare immagini che fanno riferimento a figure discusse? Il consiglio di orientamento ha deciso di avviare un’apposita commissione (psichiatri, psicologi, vittime, vescovi e preti) per affrontare il problema.

«Abbiamo bisogno di avviare una riflessione di fondo, cercando di integrare tutti i parametri, senza tabù. Siamo pronti a ogni decisione» – ha detto mons. Jean-Marc Micas, vescovo di Tarbes e Lourdes. Qualcosa di simile potrebbe succedere a san Giovanni Rotondo (padre Pio), Aparecida (Brasile) e Fatima.  Il dibattito si è allargato al pittore francese Luis Ribes e ad altri, come i musicisti André Gouzez e Winfied Pilz.

Immagini e icone

La mosaistica di Rupnik si è ritagliata uno spazio nel rinnovamento complessivo dell’arte liturgica e ha rappresentato una delle risposte dell’arte visiva capace di ridare alle immagini “devote” l’intenzionalità vitale delle icone. Lo stilema orientale, la rinuncia consapevole alla prospettiva, la convivenza fra citazioni dell’iconografia orientale e i “segni” della modernità, il prevalente ricorso al mosaico con la necessità di pietre originali e l’aggiunta della foglia d’oro, sono tutte finalizzate ad esprimere una teologia consapevole del moderno e radicalmente critica dello stesso.

La sofferenza condivisibile delle vittime può giustificare una damnatio memoriae generalizzata? La domanda potrebbe riguardare anche la teologia espressa negli scritti (cf. qui), ma, rimanendo ai mosaici,  come valutare l’affermazione di una delle “vittime” che vede le sue azioni «strettamente legate alla sua visione dell’arte»?

Si andrà probabilmente a decisioni fra loro diverse, in ragione dei luoghi e della cultura locale. Il vescovo di Ginevra, mons. Morerord ha già detto che non farà rimuovere i 13 mosaici presenti nelle chiese della sua diocesi.

Arte e morale

Ma il caso Rupnik e gli altri accennati rilanciano il discusso rapporto fra estetica e morale. Secondo la filosofa Carole Talon-Hugon la concezione dell’arte per l’arte è molto recente (‘900, T. Gautier, O. Wilde), una parentesi nella storia dell’arte. Talon-Hugon afferma un preciso rapporto fra arte e morale: «l’arte non si riduce a delle forme: è all’interno di una rete di senso, d’intenzioni, d’attesa e di valori, fra cui i valori morali. Le opere possono toccare le nostre vite, in bene come in male. L’idea che l’arte non ha niente a vedere con i valori extra-estetici è molto recente» (La Croix, 9 aprile).

Non si tratta di tornare al moralismo bacchettone, quanto piuttosto a una morale riflessa. Il valore morale di un’opera fa parte del suo valore artistico. Soprattutto in un mondo in cui l’estetismo ha occupato l’intero mercato. La tradizione imputava all’arte l’immoralità nel rappresentare il male, nel provocare effetti cattivi nello spettatore, nell’estetizzare elementi discutibili come fotografare i cadaveri.

Ma oggi appaiono nuove accuse di immoralità, come appunto il legame fra opera e immoralità dell’autore, o le reazioni emozionali delle vittime. Un allargamento moralistico che può sviluppare riletture miopi della storia dell’arte e favorire fenomeni di autocensura negli artisti.

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14 Commenti

  1. Agnese 10 giugno 2023
  2. Marco Ansalone 18 aprile 2023
    • Franco 19 aprile 2023
    • Michele Moser 17 giugno 2023
  3. Adelmo Li Cauzi 17 aprile 2023
  4. Salfi 17 aprile 2023
    • Gian Piero 17 aprile 2023
    • Renato 18 aprile 2023
    • Michele Moser 17 giugno 2023
  5. Agnese 16 aprile 2023
  6. Linda 16 aprile 2023
  7. Maria Luisa Fappiano 16 aprile 2023
  8. Gian Piero 16 aprile 2023
    • Fabrizia Raguso 17 aprile 2023

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