Parlando ai giornalisti il 14 dicembre, il preposito generale dei gesuiti, p. Arturo Sosa, ha ricordato l’estensione dei protocolli di garanzia per i minori in tutte le unità amministrative della Compagnia di Gesù. E ha aggiunto: «Per quanto si riferisce agli adulti vulnerabili, resta molto cammino da fare sia da parte nostra che da parte della Chiesa cattolica e della società».
Un’ammissione che illumina il successivo passaggio che riguarda p. Marko Rupnik: «È un buon esempio del molto che dobbiamo ancora imparare, soprattutto sulla sofferenza delle persone». Le leggi canoniche e civili sono importanti, come la capacità di comunicare efficacemente, ma resta da «comprendere e sintonizzarci con la sofferenza delle persone coinvolte».
Il 18 dicembre, in una lettera al clero del proprio settore di Roma, mons. Daniele Libanori, già gesuita (i vescovi escono dall’appartenenza alla loro congregazione quando sono ordinati) e visitatore della comunità slovena “Loyola” (luogo da cui sono giunte le denunce di abusi a carico di p. Rupnik relative agli anni Novanta) ha scritto: «Le persone ferite e offese, che hanno visto la loro vita rovinata dal male patito e dal silenzio complice, hanno diritto di essere risarcite anche pubblicamente nella loro dignità, ora che tutto è venuto alla luce».
Abbiamo «il dovere di un serio esame di coscienza e chi sa di avere delle responsabilità deve riconoscerle e chiedere umilmente perdono al mondo per lo scandalo». Le due posizioni sono diverse, ma non contrapposte e segnano le polarità del dibattito nella Compagnia.
Il dibattito interno sul caso Rupnik non è fra affossatori e denuncianti, ma fra chi, con qualche incertezza, si dispone ad ulteriori cammini sul fronte abusi e chi invoca maggior autocritica, coraggio e decisione.
Le testimonianze e il dolore
Su tutti pesano come un macigno le testimonianze delle vittime. Devastante quella ripresa dal Domani il 18 dicembre.
L’interessata ricorda la spirale progressiva delle intrusioni di Rupnik, i film porno visti assieme, gli amplessi e le copule fino a giochi erotici a tre, «perché la sessualità doveva essere – secondo lui – libera dal possesso, ad immagine della Trinità dove, diceva, “il terzo raccoglieva il rapporto tra i due”».
«È stato un vero e proprio abuso di coscienza. La sua ossessione sessuale non era estemporanea ma profondamente connessa alla sua concezione dell’arte e al suo pensiero teologico».
Polarità e convergenze
Il richiamo alle posizioni dei singoli gesuiti è funzionale a ricostruire la costellazione di posizioni non prive, almeno talune, di incertezze e contraddizioni, ma convergenti nel condurre la Compagnia fuori da ogni ambiguità sul tema degli abusi.
Il preposito generale, p. Arturo Sosa, in una prima dichiarazione (2 dicembre) richiama solo una delle indagini, conclusa con la prescrizione a norma del diritto canonico (quella relativa alla “comunità Loyola”, dopo la visita canonica di mons. Libanori), senza accennare a una precedente condanna relativa all’“assoluzione del complice” (o meglio alla confessione della vittima) che prevede la scomunica, poi revocata. Attribuisce le misure cautelari (divieto della confessione, della direzione spirituale, della predicazione di esercizi) al secondo caso e non al primo.
La sostituzione di p. Rupnik alla direzione del Centro Aletti viene attribuita al ricambio interno e non all’esito della condanna. Un racconto impreciso che lascia ai media l’impressione di qualche contraddizione e di una copertura dei delitti, almeno parziale. Peraltro ben presto risolte in successive interviste e prese di posizione.
Il delegato del generale per alcune delle case e delle comunità gesuite di Roma, p. Johan Verschueren, firma la dichiarazione del 2 dicembre e la successiva comunicazione sulla cronologia delle indagini e delle accuse a p. Rupnik sia per il caso dell’«assoluzione del complice» sia per le accuse delle consacrate della “comunità Loyola”.
«La mia principale preoccupazione in tutto questo è per coloro che hanno sofferto e invito chiunque desideri presentare un nuovo ricorso o discutere di quelli già presentati a contattarmi». Come diretta espressione dell’autorità del generale, il delegato non si sovrappone a quella dei superiori delle comunità (come nel caso del Centro Aletti) ma garantisce lo sviluppo e la comunicazione complessiva.
C’è da chiedersi quanto la vicenda Rupnik fosse nota o meno all’interno del compito di coordinamento delle comunità. Miran Ẑvanut, il provinciale dei gesuiti sloveni, è intervenuto sui media e sulla loro modalità informativa relativamente al caso, denunciando esagerazioni e «molta falsità», esponendosi alla facile accusa di volere sminuire i fatti e salvare il confratello dalle accuse. Altri due gesuiti sono chiamati in causa.
Anzitutto, il card. Luis Ladaria, prefetto del dicastero per la dottrina della fede. I processi di Rupnik sono passati sotto la sua competenza e il fatto ha sollevato sospetti di favoritismo che non hanno avuto alcun riscontro. Almeno finora.
Altro nome importante è quello del defunto card. Tomas Spidlik che, nei suoi ultimi anni, ha vissuto al Centro Aletti ed è considerato il grande mentore di Rupnik. Sapeva qualcosa? Una delle vittime afferma di non aver trovato in lui alcun sostegno. Forse non ha alcun legame con il fatto considerato, ma, nel momento in cui si ipotizzava nei suoi confronti l’avvio di un processo di canonizzazione, qualche voce ha suggerito di soprassedere.
Le voci più critiche
Sul versante di chi, dall’interno della Compagnia, chiede maggiore autocritica, coraggio e decisione si può collocare p. Hans Zollner, membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori e responsabile del Centro di studi sugli abusi della Gregoriana.
Ha dapprima sollevato la richiesta di un chiarimento del dicastero per la dottrina della fede, poi chiesto di andare oltre i limiti della prescrizione del diritto canonico e, infine, ha invocato piena trasparenza. «Dobbiamo conoscere chi sapeva qualcosa, come e quando e cosa è successo in seguito. Avremmo potuto scoprire i diversi livelli di responsabilità. Il che avrebbe potuto evitarci tutto questo». Ammette di non poter rispondere tempestivamente e in maniera completa alle molte richieste che, in questi mesi, gli sono arrivate.
Il primo gesuita a prendere posizione critica è stato Gianfranco Matarazzo, ex provinciale della provincia euro-mediterranea. «Il caso Rupnik è uno tsunami (…) di ingiustizia, di mancata trasparenza, di gestione discutibile, di attività bacata, di opera personalizzata, di comunità apostolica sacrificata al leader, di disparità di trattamento. Un danno micidiale all’ordine dei gesuiti, ma anche più alla santa madre Chiesa». Chiede una piena assunzione di responsabilità, una ricostruzione dettagliata dei fatti, un chiarimento pubblico, l’apertura degli archivi, la parola di Zollner.
L’inchiesta sulla “Comunità Loyola”, come già scritto, è stata guidata da mons. Daniele Libanori, ora vescovo ausiliare a Roma. Dopo uno scontro in consiglio episcopale con il cardinale vicario, Angelo De Donatis, ha preso carta e penna e scritto ai preti del suo settore pastorale.
Dopo aver sottolineato la plausibilità dei racconti dei giornali riguardo agli abusi di p. Rupnik, scrive: «Mi sforzo di far tacere i sentimenti che provo dinanzi a testimonianze sconvolgenti, provocate da silenzi arroganti». Le persone divenute vittime, «che hanno visto la loro vita rovinata dal male subìto e dal silenzio complice, hanno il diritto di vedere restituita la loro dignità anche pubblica ora che tutto è venuto alla luce».
Hanno e abbiamo diritto alla verità: «Cercarla è un preciso dovere. C’è la verità tremenda dei fatti contestati che impone alla Chiesa di assumere la propria responsabilità dichiarando senza ambiguità chi è la vittima e chi è l’aggressore e assumendo le misure necessarie perché il ministero della Chiesa non venga profanato».
Si aspetta «che anche in questo caso (la Chiesa) sia coerente con il suo stesso insegnamento». In una lettera ai membri della “comunità slovena Loyola” insiste: «È ignobile pensare di ridurre le responsabilità e sminuire il male liquidando chi denuncia, con giudizi sommari sulla sua salute mentale o, peggio, sulla sua serietà».
Damnatio memoriae?
L’onda delle accuse travolge la vita e l’opera di p. Rupnik, consegnato ad un assoluto silenzio. P. Sosa non si sottrae alla difesa delle consacrate del Centro Aletti, «donne di altissimo livello intellettuale e spirituale». Il futuro del Centro e delle sue attività è incerto. Arrivano le cancellazioni delle richieste di aprire cantieri musivi nel mondo.
Alcuni pongono l’interrogativo sulla sorte dei suoi mosaici con una damnatio memoriae poco coerente con la tradizione ecclesiale. Più complessa e solo ipotizzata la valutazione sulla sua teologia. C’era chi non condivideva la sua pretesa di produrre l’unica teologia veramente orientale; chi ha dissentito dal suo impianto “ideologico” del susseguirsi di età critiche e di età organiche sulla falsariga di V. Ivanon; chi ha difeso la pertinenza della competenza della psicologia contemporanea nei percorsi spirituali e formativi rispetto alla svalutazione che veniva dalla scuola di Rupnik.
Resta molto da chiarire per un giudizio più equanime sull’intera vicenda. Ma non è in discussione la cultura della salvaguardia di bambini, giovani e persone vulnerabili, come una delle dimensioni cruciali della giustizia sociale.
P. Sosa ha detto: «È stato compiuto un grande sforzo per ottenere che tutto il corpo della Compagnia di Gesù, radicato in contesti diversissimi, con percezioni molto differenti del problema e delle vie di soluzione, giungesse al medesimo livello di comprensione e di risposta ai singoli casi e a chiare politiche di prevenzione. La totalità delle 69 unità amministrative della Compagnia, sostenute dalle Conferenze regionali, hanno partecipato a tale sforzo».
Il P. Marco Rupnik, al quale auguro ogni bene e di risollevarsi, vorremmo udire una parola pubblica di pentimento-chiarificazione anche da lui, non è la compagnia. Eppure è certamente uno dei “frutti” della compagnia. Quando si parla della dimensione sistemica degli abusi, che alcuni si ostinano a non voler riconoscere, si afferma proprio questo: non è possibile classificare questi casi come sfortunati incidenti, ad opera della “mela marcia” di turno che sempre ci sarà. Vi sono delle strutture canonico-disciplinari all’interno della chiesa, degli ordini come la compagnia, delle parrocchie, diocesi e fino ad arrivare al vaticano, che sistematicamente favoriscono il crearsi di situazioni di abuso. Prima di tutto l’autorità indiscriminata dei sacerdoti sui fedeli nel foro interno- una follia!. Secondo, la presenza di strutture di potere dove le decisioni sono in mano ad una sola persona, vescovo, parroco, superiore religioso, senza nessuna condivisione, trasparenza o accountability, partecipazione del popolo di Dio. Buon Natale a tutti!
Mai come oggi per Marko Rupnik assumeno consistenza e verità le parole del Vangelo della liturgia di oggi, Matteo 10, 17-22, ma arrivando fino alla fine del versetto 25.
Gloria a Dio!
In una vicenda così complicata come questa di P. Rupnik le gerarchie ecclesiali ai vari livelli non sono state trasparenti. La Chiesa cattolica è una monarchia assoluta con qualche elemento di collegialità, quindi non è trasparente, perché vuole mantenere il potere. Nel periodo dell’URSS di Gorbarciov le parole più usate erano “glasnost” (trasparenza) insieme all’altra “perestrojka” (ristrutturazione). È evidente che la trasparenza delle strutture ecclesiali e la ristrutturazione in senso sinodale devono essere i punti cardini della trasformazione. Il punto sarà di trasformare le strutture ecclesiali senza farle crollare. È urgente preparare e progettare la Chiesa di domani, pensando che già sia reale. Dobbiamo pensare già alla Chiesa del Giubileo 2050, perché prima crollerà molto della Chiesa attuale. Dobbiamo essere preparati.
Segnalo che Mons. Libanori è a tutt’oggi gesuita. Lo confermano il sito della Santa Sede (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/02/04/0084/00168.html) e anche il sito della Diocesi di Roma sul quale si può leggere “S.E. Mons. Daniele Libanori della Compagnia di Gesù S.I” (https://www.diocesidiroma.it/diocesidiroma/collegio-dei-vescovi/mons-daniele-libanori/).
Salvatore, è evidente che Lorenzo Prezzi non ha idea di che cosa sia la Chiesa Cattolica. Il Codice di Diritto Canonico lo dice chiaramente e anche https://silerenonpossum.it/ ha spiegato che Libanori fa parte della Compagnia di Gesù.
Il problema qui è serio, perché Prezzi continua a dare informazioni proprio in questo modo. In maniera sommaria, sue idee ma nulla di documentato.
Concordo con l’ultimo commento. Come è possibile che si sia arrivato a tanto? Come è possibile che una congregazione religiosa, che ha come carisma il discernimento spirituale, non sia stata in grado di discernere ciò che stava avvenendo al suo interno? La cosa peggiore è stata poi aver dato risalto, visibilità, celebrità ad un uomo che, per quello che ha fatto, è un mostro. Abusi!!! Si tratta di abusi perpetrati da un uomo che era osannato come padre spirituale, ricercato come artista. Abusi perdipiù che sono prescritti. E le vittime?? La Compagnia di Gesù non ha dato e non sta dando un buon esempio. Almeno dovrebbe essere avviato un processo di espulsione dalla Compagnia e riduzione allo stato laicale. Perché non viene fatto???
I Reverendi Padri della Compagnia di Gesù dovrebbero anche farci sapere cosa pensano delle gravi blasfemie e abuso del “sacro” che escono fuori dalla testimonianza della suora abusata come “il sesso a tre a immagine della Trinità” e i baci paragonati al bacio dell’altare… Non si tratta forse di satanismo? E le vittime sono solo le suore o si fatta anche grave offesa a Dio? Sempre che credano ancora in Dio…
ormai è certo che padre Rupnik sia un gran porcello, però ci andrei cauto con il prendere come vere al 100% le affermazioni delle vittime: succede spesso che le persone che hanno avuto un legame molto forte con una persona o un gruppo quando lo mollano (o vengono mollati) esagerino enormemente i lati negativi della loro esperienza per giustificarsi
È però ben difficile credere che una realtà strutturata come la Compagnia abbia non solo ignorato per ben trent’anni una doppiezza del genere, ma abbia gratificato di sempre maggiori onori e responsabilità il soggetto in questione. Come la chiameremo: ingenuità o copertura? Difetto strutturale o disattenzione? Negligenza o disinteresse? In qualunque modo, si tratta di gravissimi difetti. Che chiedono mea culpa e rimedi assai più forti di quelli visti finora.
Tre domande
1)Chi sono gli adulti vulnerabili? Comunemente con questa espressione ci si riferisce ad anziani e a persone maggiorenni che non sono in grado di provvedere da sole ai propri interessi a causa di una limitazione delle proprie facoltà;
2) In che posizione questi adulti vulnerabili si trovano in comunità religiose e quanti sono in ogni comunità?
Non è possibile che vengano classificate vulnerabili solo dopo aver subito gli abusi altrimenti non è possibile adottare alcun protocollo in loro difesa. Questo deve essere chiarissimo per tutti.
3) Nel caso Rupnick come si è arrivati a far maturare la prescrizione?
Le farò un parallelo: come definisce una donna vittima di violenza nelle relazioni di intimità? É uma persona vulnerabile prima o solo dopo le violenze? O sarà anche una complice volontaria della sua disgraziata storia?
Mi chiedo se esistano prove certe e inequivocabili in merito alle accuse mosse contro padre Rupnik. E se fosse padre Rupnik la vera vittima degli sforzi di soggetti animati dal perverso desiderio di diffamare le sue opere e la sua spiritualità?
Nutro lo stesso dubbio
Ci sono stati due processi.
In esito ad uno dei due la CDF ha comminato la scomunica per “assoluzione del complice”.
Poi, nel giro di pochi giorni, la massima Autorità ha deciso di revocare la scomunica.
Il tutto è successo due o tre anni fa.
Poi tutto è stato insabbiato.
Se i fatti sono questi allora veramente è uno scandalo senza fine.