Più di 500 anni dopo che la maggior parte delle abbazie e dei monasteri norvegesi furono sciolti e distrutti durante la Riforma protestante, la chiesa del monastero trappista più settentrionale del mondo è stata consacrata il 5 dicembre dal vescovo trappista Erik Varden di Trondheim.
In Norvegia, come in tutti i paesi nordici, il Medioevo è stato tradizionalmente considerato un’epoca cattolica e, sebbene oggi il paese sia tra le nazioni meno religiose del mondo, le numerose rovine di abbazie e monasteri cattolici distrutti durante la Riforma protestante continuano a testimoniare silenziosamente la ricca eredità e la storia cattolica del Paese.
Le rovine dell’Abbazia di Munkeby non fanno eccezione. Situate a poco più di 60 miglia a nord del santuario di sant’Olav a Trondheim – il luogo in cui riposano i resti terreni di sant’Olav, santo patrono della Norvegia – le pietre erose dal tempo dell’antico monastero cistercense hanno resistito al rigido clima nordico e continuano a raccontare una storia che la natura ha rifiutato di lasciare svanire.
«Non abbiamo alcun resoconto dettagliato di quello che è successo a Munkeby», ha detto il vescovo Erik Varden, monaco trappista e vescovo di Trondheim in Norvegia. «Quello che sappiamo per certo è che i monaci cistercensi vissero lì abbastanza a lungo da fondare un monastero, ma non abbastanza a lungo perché fosse registrato nelle cronache dell’ordine». (I trappisti sono membri di un ramo riformato dell’ordine cistercense fondato nel XVII secolo).
Secondo documenti storici, l’abbazia di Munkeby fu fondata tra il 1150 e il 1180, quando la cristianizzazione della Norvegia era quasi completata. Similmente alle abbazie cistercensi di Lyse e Hovedøy, fondate rispettivamente da monaci inglesi dell’abbazia di Fountains e dell’abbazia di Kirkstead, si ritiene che l’abbazia di Munkeby facesse parte degli sforzi di evangelizzazione dell’Inghilterra cattolica.
«Mentre la Svezia è stata evangelizzata principalmente dalla Germania e dalla Francia, sappiamo che il cristianesimo è arrivato in Norvegia dall’Inghilterra e dall’Irlanda», ha spiegato mons. Varden. «Ciò che probabilmente accadde a Munkeby è che i monaci inglesi dell’abbazia di Lyse si recarono a Trondheim, molto probabilmente come pellegrini alla cattedrale di Nidaros, per pregare sulla tomba di sant’Olav, e decisero di fondare un’altra abbazia vicino a Stiklestad, il luogo della morte di sant’Olav».
Con la sua erezione, l’abbazia di Munkeby divenne la fondazione cistercense più settentrionale del mondo. Ma – come ha spiegato il vescovo Varden – i monaci non rimasero lì a lungo. Infatti, «mentre ci sono dei documenti che menzionano i cistercensi che vivevano nella zona alla fine del XII secolo, i monaci scompaiono improvvisamente pochi decenni dopo».Poco dopo la fondazione dell’abbazia a Munkeby, si ritiene che i monaci si siano trasferiti a circa 40 miglia a sud verso Tautra, fuggendo dalle condizioni climatiche locali. Lì fondarono l’abbazia di Tautra. L’abbazia divenne ricca e potente e fiorì fino alla Riforma, quando fu sciolta e distrutta, insieme a molte altre.
Ritorno cistercense
Nel 1999, più di 500 anni dopo lo scioglimento di quell’abbazia norvegese, le monache trappiste dell’abbazia di Nostra Signora del Mississippi in Iowa decisero di avviare una fondazione filiale vicino alle rovine dell’abbazia di Tautra. La pietra del primo insediamento cistercense permanente in Norvegia dopo la Riforma fu posta dalla regina Sonja di Norvegia il 23 maggio 2003.
Allo stesso modo, l’attuale abbazia trappista di Cîteaux in Francia – la casa madre dell’Ordine dei Cistercensi – decise, nel 2007, di fondare un nuovo monastero trappista a Munkeby (localmente noto come Munkeby Mariakloster), vicino alle rovine della vecchia abbazia, rendendola la prima nuova fondazione derivante direttamente dalla primissima casa dell’ordine in 500 anni.
«Provvidenzialmente incontrai una suora dell’abbazia di Tautra durante un incontro di formazione in Francia – racconta padre Joël Regnard, monaco trappista di Cîteaux e nuovo priore del monastero di Munkeby – e lei mi invitò a venire a Tautra per i miei sei mesi sabbatici».Fu lì che il monaco francese, che in precedenza aveva sentito il bisogno di un rinnovamento nella vita monastica e di un ritorno alle sue radici, ebbe l’idea di avviare una nuova fondazione a Munkeby.
«La gente diceva: “Sono venute le suore, perché allora non i fratelli?”» ricorda padre Joël.All’inizio, l’idea non fu accolta così bene dalla sua abbazia come padre Joël aveva sperato – «non solo fu considerata pazza, ma quasi altrettanto inattuabile» – e al suo ritorno iniziò un lungo processo che si concluse con l’accettazione. Alla fine, nel 2007, il progetto fu approvato dall’abate generale di Cîteaux e, nel 2009, l’abbazia inviò quattro monaci a Munkeby, compresi i suoi due fratelli più giovani di età e di professione: padre Joseph, fratel Bruno, padre Joël e fratel Arnaud.
Sebbene il nuovo monastero non potesse essere ricostruito sulle rovine dell’antica abbazia per ragioni di praticità e di conservazione storica, i monaci trovarono rapidamente un luogo adatto a pochi passi di distanza. «La prima volta che l’ho visto, ho pensato che questo fosse un tipico luogo cistercense», ha dichiarato padre Joël. «Tutto il posto è un piccolo santuario. È un luogo per lo più disabitato e tranquillo, con molto silenzio e splendidi dintorni».
Oltre alle numerose rovine disperse nei paesi nordici, anche i nomi delle aree che un tempo ospitavano i monasteri sono stati conservati nel tempo: Munkedal, «la valle dei monaci», dal nome dell’abbazia premonstratense di Dragsmark in Svezia; Munkholmen, «l’isolotto dei monaci», dal nome del monastero benedettino dell’abbazia di Nidarholm in Norvegia; e Munkeberg, «la montagna dei monaci», dal nome del monastero cistercense dell’abbazia di Alvastra in Svezia.
«Anche se la gente ha dimenticato da dove vengono i nomi – ha affermato padre Joël – i nomi sono rimasti. La gente sapeva che un tempo qui c’erano stati dei monaci. E, per il nome Munkeby – che significa «il villaggio dei monaci» – quando siamo arrivati nel 2009, molte persone lo chiamarono «il ritorno dei monaci».
Recupero delle radici cattoliche norvegesi
Grazie alle generose donazioni degli amici dell’abbazia di Cîteaux, è stato possibile iniziare la costruzione del monastero di Munkeby. Anche l’aiuto della Bonifatiuswerk, un ente di beneficenza cattolico in Germania, si è rivelato essenziale, ha osservato padre Joël.Fondata 175 anni fa a Ratisbona, la Bonifatiuswerk sostiene i cattolici nei paesi e nelle aree in cui sono in minoranza, soprattutto nelle aree a maggioranza protestante, al fine di «trasmettere la fede che san Bonifacio aveva portato in Germania», ha affermato mons. Georg Austen, segretario generale della Bonifatiuswerk,
Oltre a sostenere finanziariamente il clero nel Nord Europa, l’organizzazione umanitaria sostiene anche progetti che includono la costruzione e il mantenimento di chiese e monasteri in Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia e negli Stati baltici.
Pur riconoscendo le sfide del progetto Munkeby e avendo messo in dubbio la sostenibilità di una comunità monastica così piccola, mons. Austen ha ammesso che «in Germania, ora siamo incoraggiati da ciò che sta accadendo qui».
Sempre mons. Austen ha dichiarato: «Credo sia un bene che le antiche radici tornino a rivivere e che i monaci abbiano ormai messo piede qui, soprattutto tra la popolazione locale, perché questa è la nostra missione: dare alla gente un annuncio del Vangelo anche in luoghi profani», sottolineando l’importanza di avere luoghi sacri in ambienti non religiosi dove le persone possano esporre le loro domande sulla vita e sulla fede.
Le profonde radici cattoliche del luogo – ha affermato padre Joël – indicano un passato e un patrimonio che non possono essere cancellati e, in definitiva, collegano il monastero cistercense al popolo norvegese in un modo unico e inequivocabile.
«Il vescovo Bernt Eidsvig di Oslo è solito riferirsi a questa regione della Norvegia come “Norvegia Sacra”», ha commentato mons. Varden. In effetti, la vicinanza del monastero al santuario di sant’Olav – che era di grande importanza religiosa sia per la Norvegia sia per gli altri paesi nordici e altre parti del Nord Europa – non deve essere trascurata, ha aggiunto il vescovo.
Raccontando la storia di come un cieco riacquistò la vista dopo essersi strofinato gli occhi con le mani macchiate del sangue di re Olav, il vescovo Varden spiegò che «qui una volta viveva e morì un uomo in carne e ossa, e il suo corpo morto divenne, in modo paradossale e meraviglioso, fonte di vita», affermando che sant’Olav, proprio come era più di 1000 anni fa, continua ad essere fonte di vita e di fede anche oggi.
Il monastero come realtà sacramentale
«La liturgia per la consacrazione di una chiesa è grandiosa e colpisce i sensi», ha sottolineato mons. Varden nella sua omelia durante la consacrazione della chiesa del monastero di Munkeby Mariakloster il 5 dicembre. «È anche pedagogica. Attraverso testi e simboli la Chiesa, nostra Madre, ci fa vedere cos’è veramente una chiesa».Infatti – ha spiegato il vescovo – tutto può facilmente diventare molto astratto quando si parla in generale di «comunità» e di «comunione».
Al contrario, i simboli visibili e i gesti concreti compiuti durante la consacrazione della chiesa, come l’esorcismo, la benedizione dei fedeli con l’acqua benedetta e l’unzione dell’altare e delle pareti, ci ricordano qualcosa di concreto.La chiesa del monastero – ha aggiunto il vescovo – «non è più, quindi, un semplice edificio. Diventa una realtà sacramentale, il tabernacolo della presenza divina, un’epiclesi concreta».
In contrasto con le fugaci ore di sole dell’inverno norvegese, il nuovo monastero brilla ora perennemente come faro di speranza e segno di fede in un Paese caratterizzato da una forte secolarizzazione e da una crescente irreligiosità.
Molti giovani sono già venuti a visitare i monaci per riflettere sul loro rapporto con la religione, ha raccontato padre Joël, e altri, «soprattutto anziani, hanno cambiato la loro visione della Chiesa cattolica». Anche la gente del posto si è avvicinata a loro per chiedere preghiere, per cercare rifugio nei momenti di bisogno o semplicemente per dire loro che «a loro piace il suono delle campane che suonano durante il giorno».
Frøydis e Louis de Damas conoscono i monaci di Munkeby Mariakloster da dieci anni: «Il nostro cammino verso la fede cattolica è iniziato con loro», ha detto Frøydis.
La coppia, che ora ha molti amici sia a Munkeby Mariakloster che a Tautra Mariakloster, ha spiegato che è importante per loro e per i loro tre figli piccoli avere stretti rapporti con i religiosi, sia che si tratti di chiedere loro preghiere, di partecipare alla messa, recitando con loro la Liturgia delle ore, sia semplicemente conversando con loro.
«Una porta del paradiso»
Riflettendo sulla particolarità del luogo e sulla storicità dell’evento, il vescovo Varden, nei suoi commenti, ha sottolineato che «in un certo senso, non c’è niente di speciale in questo monastero», spiegando che i cistercensi di solito cercano il ritiro, piuttosto che essere visti o sentiti. Le costituzioni stesse dell’ordine affermano che i monaci sono chiamati a perseverare in una «vita ordinaria, oscura e laboriosa».
«In questo senso – ha proseguito il vescovo – questo monastero è normale come tutti gli altri. Ma, allo stesso tempo, ogni abbazia è una porta del paradiso e, in questo senso, è qualcosa di straordinario.