Intervento del cardinale Carlo Maria Martini al Convegno nazionale dell’Ordo virginum dal titolo «Il valore della verginità consacrata nella Chiesa locale fin dai tempi di sant’Ambrogio» (Rho, 20 aprile 1996). Il testo, edito originariamente in Giovanni Paolo II – C.M. Martini – F. Coccopalmerio – C. Magnoli, Ordo virginum, Áncora, Milano, 1999, pp. 20-32 è ora ripreso nel volume C.M. Martini, Cammini esigenti di santità, EDB, Bologna 2018, che raccoglie gli interventi – per la maggior parte inediti – che il cardinale Carlo Maria Martini ha rivolto all’Ordine delle vergini. Il volume documenta la notevole attenzione che egli ha riservato all’Ordo virginum negli anni in cui è stato arcivescovo di Milano. Quando ancora in molte diocesi italiane si muovevano i primi passi per iniziare questa nuova esperienza vocazionale, il suo pensiero e la sua pratica pastorale hanno costituito (e restano tuttora) un prezioso punto di riferimento per tanti vescovi.
Rho (MI), 20 aprile 1996.
Vi ringrazio per la vostra accoglienza e per il momento molto bello che viviamo insieme. Come diceva sant’Ambrogio: «Le vergini consacrate sono nel mondo segno di vera bellezza». La bellezza della vita consacrata è anche il tema di fondo dell’esortazione postsinodale Vita consecrata, sviluppato ampiamente partendo dall’icona della Trasfigurazione. Dice il Papa tra l’altro: «“Come è bello restare con te, Signore, dedicarci a te, concentrare in modo esclusivo la nostra esistenza su di te!”. In effetti, chi ha ricevuto la grazia di questa speciale comunione di amore con Cristo, si sente come rapito dal suo fulgore: egli è “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 45 [44], 3)» (n. 15).
Siamo qui a celebrare la rinascita nella Chiesa di una forma di vita che sta ormai diffondendosi irresistibilmente in tante nazioni. Voi rappresentate questo nuovo germoglio della stirpe di Davide, e grande è perciò la vostra responsabilità, come pure quella dei vostri vescovi e dei loro delegati. È infatti necessario che il germoglio cresca in maniera giusta, diritta.
Mi propongo di rispondere alle domande che mi avete fatto pervenire, ordinando la mia esposizione intorno a quattro temi generali:
- la figura carismatica della verginità consacrata;
- la sua collocazione nella Chiesa locale;
- il rapporto tra la consacrata e il proprio vescovo;
- la formazione.
La figura carismatica della verginità consacrata
Per raggiungere delle chiarezze su questo punto, occorrono tempo, tranquillità, serenità.
L’esperienza dell’Ordo virginum è molto recente, in qualche diocesi appena incipiente e, all’inizio, si cammina un po’ a tentoni. È avvenuto così anche a Milano, quando l’esperienza è incominciata, quindici anni fa; negli anni successivi si sono maturati dei chiarimenti.
Occorre del resto tener conto dell’estrema poliedricità della figura della vergine consacrata: a differenza di quanto avviene in una Congregazione religiosa, che ha un carisma molto specifico, definibile anche in forma esteriore, per l’Ordo virginum si tratta di adattarsi alla molteplicità delle situazioni locali in cui. si vive, e non si può giungere a definizioni troppo rigide.
Sul nostro tema si esprime comunque chiaramente il Codice di diritto canonico, così come i testi liturgici (il Rito della consacrazione) e quelli magisteriali, in particolare la recente Esortazione apostolica; in essa si descrive 1’Ordo virginum nella sua specificità, collocandolo subito dopo la menzione della vita monastica, quale forma per così dire germinale delle successive esperienze di vita religiosa e consacrata: «È motivo di gioia e di speranza (l’espressione del Papa è particolarmente calda e gioiosa) vedere che torna oggi a fiorire l’antico Ordine delle vergini, testimoniato nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano pur restando nel mondo. Da sole o associate, esse costituiscono una speciale immagine escatologica della sposa celeste e della vita futura, quando finalmente la Chiesa vivrà in pienezza l’amore per Cristo Sposo» (n. 7).
È un testo molto sintetico e ricco, dove già molte domande trovano risposta.
Da parte nostra, possiamo iniziare notando che anche l’Ordo virginum, come ogni altro carisma nella Chiesa, si giustifica anzitutto dal fatto che esiste nella vita; è solo a questa condizione che vale la pena di descriverlo. Si tratta di un’intuizione fondamentale: è la santità vissuta che conta, e da sola si fa strada nella Chiesa.
Posto questo principio, vale tuttavia la pena di ricordare che il carisma è antichissimo; si tratta di una tradizione antica da risuscitare nelle condizioni presenti, con la stessa forza e genialità delle origini. Dunque, non siamo di fronte a una realtà vaga, generica, amorfa; ha invece una sua precisa identità, anche se non facile da descrivere nei particolari.
Inoltre, ha ormai qualche anno di vita; può essere quindi positivo tentare delle descrizioni, pur se non ancora troppo rigide e dettagliate. E sarà certamente utile − lo sosterrò ancora, come già in passato, in sede di Conferenza Episcopale − che anche la CEI possa prevedere, in dialogo con le consacrate, una specie di quadro di riferimento.
Le precisazioni sono necessarie non perché un carisma sia migliore quando è descritto, ma per evitare che sia confuso con le contraffazioni e le illusioni, come spesso capita nella vita spirituale (l’attività «scimmiesca» del diavolo consiste appunto nell’imitazione delle opere di Dio!). Delimitare a poco a poco serve a evitare confusioni, magari con forme di perfezione offerta a poco prezzo, al ribasso.
Il vostro è invece un cammino di perfezione molto esigente che, non avendo sicurezze e garanzie istituzionali forti e rigide, ha bisogno di grande intensità spirituale per non degenerare, diventando una forma di pietà generica. Occorre garantire l’esistenza di un carisma evangelico molto solido, capace di spaccare la roccia di una società incredula, di esprimersi in maniera vigorosa anche in un mondo secolarizzato, indifferente, arido, così come a volte, in montagna, si vedono con meraviglia spuntare da certe rocce aride delle piante molto belle e robuste, perché hanno dovuto vincere la difficoltà della mancanza di terra e di acqua. Tale deve essere la realtà dell’Ordo virginum, in un mondo difficile da cui non ci si ritrae entrando in monastero, ma si rimane, impegnandosi a vivere un cammino molto arduo.
Può creare perplessità che spesso, per definire l’Ordo virginum, si usi il confronto con la vita religiosa, procedendo in qualche modo per via negativa, quando non operando un’indebita assimilazione.
In realtà, il modo di ragionare comparativo è proprio di tutte le scienze e del resto la stessa Esortazione postsinodale espone gli elementi comuni a tutte le forme di vita consacrata, mentre cerca di definire ciascuna. Tuttavia è evidente che non è semplicemente per questa via che avviene la precisazione dell’identità; attraverso di essa è possibile piuttosto chiarire meglio la forza vivente della santità, là dove essa esiste.
Senza addentrarci a cercare di capire come la vita consacrata si differenzi rispetto a una vita battesimale che non ha scelto la consacrazione (se ne è discusso ampiamente durante il Sinodo e ne tratta l’Esortazione), possiamo utilmente chiederci a quale idea di Chiesa corrisponde la verginità consacrata.
Si deve senz’altro dire che corrisponde a un’idea di Chiesa quale realtà chiamata alla santità evangelica; non certo quale società, nemmeno una società che evangelizza e distribuisce religione.
E possiamo aggiungere che la verginità consacrata può essere in essa segno – molto necessario – di maternità. Non occorre, a questo riguardo, elaborare delle teorie, ma vivere con la dedizione silenziosa, gratuita, preveniente, attenta, che è propria di una madre, la stessa di Maria alle nozze di Cana. Non serve dire: «Tocca a me? », perché la madre non si preoccupa di definire il proprio ruolo, ma si butta; e c’è davvero bisogno nella Chiesa di persone che si buttino con una simile gratuità e generosità a far sentire che c’è un calore, che capiscano le sofferenze, che consolino le ferite più profonde. Senza questo spirito mariano, che insieme con lo spirito petrino costruisce la Chiesa, essa diventa burocratica e fredda.
Le vergini consacrate possono rappresentare questo lievito, senza bisogno di cartelli e di etichette; la comunità viene vivificata e rallegrata da una tale concreta presenza.
Notiamo anche che la consacrazione alla verginità nell’Ordo virginum comporta certamente un impegno di stile di vita evangelica che comprende anche la povertà e l’obbedienza alla sequela di Cristo. Uno stile non certamente identico a quello della vita monastica o della vita consacrata in una comunità religiosa apostolica, ma da cui tuttavia si possa chiaramente dedurre che la persona non vive per guadagnare e accumulare, ma in maniera modesta – relativamente alla propria condizione – e in maniera sottomessa alla Chiesa, alle disposizioni di tipo magisteriale e disciplinare del Papa e del vescovo.
Credo anzi sia importante specificare che il vescovo deve vigilare e intervenire perché il modo di vita della vergine consacrata (per esempio riguardo all’abitazione, alla professione…) sia tale da permetterle di vivere le virtù evangeliche. Si tratta di un reale esercizio di povertà e obbedienza, anche se non definibile canonicamente in maniera semplice.
Un simile stile di vita si esprimerà in modalità diversificate, ma si distinguerà sempre per un tratto di riservatezza, di austerità, di uso moderato delle cose, nella cura di evitare la corsa a ogni forma di prestigio, propria della mondanità; con tanta maggiore vigilanza, in mancanza di regole canoniche precise.
Per rifarci ancora una volta a Vita consecrata, è chiaro che essa non riguarda soltanto la verginità, ma la povertà, l’obbedienza, la contemplazione, la preghiera, l’austerità della vita, la solidarietà, l’attenzione ai poveri, tutto ciò che è vita evangelica. E l’Esortazione, salvo ciò che riguarda specificamente ogni particolare forma di vita, è al 90% anche per l’Ordo virginum; ed è molto impegnativa e incoraggiante.
Vale la pena osservare, da ultimo, che nell’impegno della vergine consacrata a vivere la santità evangelica, ella potrà ispirarsi all’una o all’altra spiritualità fra quelle che la Chiesa ha fatto sue e che l’arricchiscono. Non si può, infatti, parlare di una spiritualità «della Chiesa» (che sarebbe specifica della consacrata nell’Ordo virginum) e poi delle altre spiritualità (teresiana, francescana, ignaziana…); ogni spiritualità è «della Chiesa», se è stata approvata, altrimenti si tratta di false spiritualità.
L’importante è che non si diventi pedissequi imitatori (sia che ci si ispiri agli scritti di Teresa d’Avila, o alla Regola benedettina o alla spiritualità di santa Chiara o di Charles de Foucauld). Occorre attualizzare nel proprio vissuto di Chiesa locale, nella fedeltà al proprio luogo e alla propria missione, gli impulsi spirituali ricchissimi che appartengono a tutta la comunità ecclesiale.
Ogni diocesi ha figure di santità che sono il suo tesoro particolare (a Milano sant’Ambrogio, san Carlo, il beato cardinal Ferrari, il beato cardinale Schuster, Gianna Beretta Molla…); ma poi ogni altro stile appartiene pure a tutti, perché è possesso della Chiesa. Ciascuno di noi è un fiore unico, che però vive dell’aria, della luce, del contatto con gli altri fiori, e così cresce nella sua verità.
Collocazione della vergine consacrata nella Chiesa locale
L’Ordo virginum è una realtà legata alla diocesi, non un’associazione, nazionale o internazionale, né un gruppo interdiocesano. Può naturalmente trarre vantaggio dalla conoscenza e dallo scambio con altre realtà affini – e in questo senso si parla di coordinamento – ma va affermato molto chiaramente il pieno radicamento nella Chiesa locale. È una novità che va rispettata e difesa contro ogni forma di assimilazione ad altre realtà (come per esempio quelle di vita religiosa apostolica o anche di vita monastica che hanno l’esenzione), che lodevolmente servono la Chiesa universale e si spostano facilmente da una diocesi all’altra, da un paese all’altro, per servizi giusti e necessari.
È chiaro che, poiché l’Ordo virginum è riconosciuto nel CIC e in testi magisteriali, ogni vescovo non può non riconoscerne, in linea di principio, la validità. D’altra parte però un vescovo non è tenuto ad accogliere nella propria Chiesa ogni forma di vita consacrata e può ritenere che non vi siano in diocesi le condizioni per iniziare una determinata esperienza. Sono necessari evidentemente motivi molto seri che facciano giudicare non esistenti, per il momento, le condizioni per seguire, approfondire, rendere valido un cammino.
Tuttavia, più importante che trovare una risposta al problema sotto il profilo canonico, è dare la dimostrazione che la vita dell’Ordo virginum è bella e dà frutti. Ritengo infatti che il primo modo per favorire la comunicazione coi vescovi sia quello di essere veramente sorgente di santità vissuta, quella che si propaga a tam-tam da persona a persona, che è davvero efficace e convincente.
Altre forme di comunicazione sono comunque da favorire e già se ne parla a livello di Consiglio permanente della CEI. La Conferenza episcopale potrebbe quindi intervenire fornendo un quadro di riferimento e di conoscenza che permetta ai singoli vescovi di orientarsi per un’eventuale accoglienza dell’Ordo virginum in diocesi.
Penso poi sia necessario far emergere l’originalità e la ricchezza del dono di questa consacrazione, senza vincolarlo alle immediate esigenze pastorali.
Certo il Codice di diritto canonico parla di un servizio alla Chiesa (cf can. 604) e così pure Vita consecrata: «Acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano, pur restando nel mondo» (n. 7). L’espressione è piuttosto generica, e va precisato che certamente la vergine consacrata non si identifica con un’operatrice pastorale e nemmeno con una religiosa di vita apostolica; il suo impegno può essere concepito in forme molto svariate nella molteplicità dell’esistenza quotidiana (a esempio, anche un servizio laicale, di tipo professionale, può essere inteso come servizio alla Chiesa).
La vergine consacrata ha come primo impegno di tendere alla santità del carisma di vita evangelico, in povertà, castità, obbedienza, preghiera, contemplazione, carità. Naturalmente, la carità comprende anche un servizio ai poveri, ai bisogni delle realtà locali.
Nel senso più alto, l’unico servizio è quello a Cristo Signore, per il quale ci si immola e col quale ci si offre; il servizio è lode, contemplazione, offerta, dedizione, imitazione, identificazione.
Esso si specifica poi nelle diverse diaconie, nei vari ministeri, quelli ricordati e lodati in Matteo 25, 31ss. Dunque, molte diaconie, ma un unico Spirito.
La diaconia fondamentale è quella battesimale di ogni cristiano; a ciascuno tocca poi qualcuna delle molteplici diaconie in cui essa si specifica. Qui la vergine consacrata si distingue, scegliendo ciò che le è più confacente e corrisponde meglio all’identificazione del vescovo. Darei dunque un suggerimento concreto: la vergine consacrata abbia ordinariamente, pur se occupata in un’attività professionale, anche alcuni impegni di servizio alla parrocchia, o alla comunità diocesana, o alle situazioni, di povertà, impegni determinati dal vescovo o dal suo delegato.
In ogni caso, occorre sempre tenere ben distinti i termini del problema: la consacrazione non tocca direttamente l’apostolato nella Chiesa, ma tende a far vivere la vita evangelica; certo si esprime attraverso diversi servizi, anche attraverso l’apostolato.
Dunque la vita di consacrazione coopera alla promozione della donna, innanzitutto mostrando la bellezza della vita consacrata femminile anche nelle condizioni quotidiane, irradiando intorno a sé un’esperienza di pienezza. È il primo e fondamentale servizio.
Riguardo poi al problema dell’apostolato femminile nella Chiesa, si tratta di un tema molto dibattuto e che deve maturare, certo mediante diverse iniziative, ma soprattutto per mezzo di una presenza sempre più significativa della donna nelle varie forme di esistenza pastorale.
Si sta sviluppando pure una riflessione, anche se non in forma ufficiale, per quanto riguarda specificamente il diaconato femminile e certo la tradizione della Chiesa primitiva ci incoraggia ad approfondire tale tematica.
Rapporto della vergine consacrata con il vescovo
Come mette ben in luce la cerimonia di consacrazione, molto solenne e presieduta dal vescovo, egli è per la vergine consacrata figura primaria di riferimento e garanzia del suo riferimento a Cristo Sposo.
Dove la diocesi è grande e l’Ordo virginum si accresce, lo sarà naturalmente anche attraverso mediazioni (come del resto avviene per quanto riguarda i sacerdoti). Sarà tuttavia importante che si riservi una funzione decisiva di discernimento nelle situazioni di rilievo (ammissione, consacrazione, particolari momenti decisionali).
La sua funzione di animazione in diocesi della vita consacrata si esprime poi anche attraverso diversi canali (esortazioni, meditazioni, lettere pastorali); ogni espressione del magistero del vescovo rivolta alla promozione della vita evangelica, è assimilata dalle vergini consacrate con particolare attenzione.
Occorre anche chiarire, per quanto riguarda le mediazioni con le quali si esprime l’attenzione del vescovo, che la Chiesa è di sua natura gerarchica; la stessa Chiesa delle origini si è da subito talmente diversificata e moltiplicata da avere bisogno di mediazioni. Esse non sono un «di meno», ma una realtà santificante.
È importante acquisire la consapevolezza che la grazia è portata non soltanto dal contatto immediato, ma pure da mediazioni santificatrici, perché anche Gesù si è manifestato così: ha voluto che lo raggiungessimo in molteplici mediazioni, proprio per chiarire che tutte sono relative e tutte a lui si riferiscono.
Naturalmente ogni realtà diocesana desidererebbe un accesso diretto al vescovo, e così ogni singolo prete o fedele. È necessario tuttavia che ciascuna non si consideri l’unica, ma si collochi come una fra le tante, delle cui ricchezze essa partecipa. La Chiesa è un grande giardino con molti fiori; ogni fiore ha il proprio valore ed è in contatto diretto col sole; il giardiniere passa qua e là a coltivare.
Tra le mediazioni, particolarmente importante è quella rappresentata dalla presenza del delegato. «Delegato» significa che ha i poteri che gli vengono trasmessi; spetta perciò al vescovo stabilire in che cosa egli lo rappresenta. Penso che il vescovo debba trattare personalmente col delegato di tutti i problemi che riguardano gli aspetti decisivi del cammino delle vergini consacrate, lasciando a lui di guidare il cammino ordinario.
Formazione
Occorre tenere ben presente che il problema non è di formare, come in un Istituto religioso, delle persone che abbiano anche esteriormente uno stile di vita identico, ma di garantire la perseveranza in una vita evangelica di povertà, castità, obbedienza, contemplazione, preghiera, umiltà, disinteresse; una vita eroica, contro tutte le difficoltà del mondo. Essa è opera di Dio, è un miracolo; ma dobbiamo prepararlo attraverso un nutrimento dottrinale e spirituale.
A questi livelli è molto importante il ruolo del vescovo, che deve curare che ogni persona arrivi pronta alla consacrazione.
Una delle condizioni fondamentali che ho esigito fin dall’inizio è stata di avere un direttore spirituale e una regola di vita. Su questa base, si può poi verificare anche una preparazione dottrinale, teologica, catechetica, biblica, che serve a nutrire la vita di preghiera.
La vita della vergine consacrata, infatti, è radicata nella preghiera e nella contemplazione, che partono dalla lectio divina, dalla familiarità con la Scrittura; senza di questo, non avrebbe senso e non potrebbe durare. Ma per vivere momenti lunghi di silenzio, di ascolto, di solitudine con Dio, occorre una certa preparazione biblica, esegetica, culturale, che permetta di compiere tale cammino. La diocesi deve preoccuparsi che ogni vergine consacrata abbia la possibilità di una simile formazione.
Le condizioni di vita delle vergini consacrate possono essere molto diverse (tra l’altro, è previsto che possano vivere da sole o associate). Non si tratta dunque di stampigliare una forma identica, ma di preoccuparsi che esistano le qualità che consentono di perseverare in una devozione ardente evangelica, anche senza aiuti istituzionali forti; attitudini anche umane di solidità, di buon senso, di equilibrio, che facciano ragionevolmente prevedere che non ci sarà un “tran tran” qualunque di vita, un andare avanti comunque, ma un cammino vero, e proprio di santità. È una devozione fervente che deve crescere lungo tutta l’esistenza, sviluppandosi lungo tutte le forme e i gradi di preghiera e di contemplazione previsti dagli autori spirituali.
E desidero terminare con alcune parole che il papa rivolge alle persone consacrate, a conclusione dell’esortazione postsinodale: «È soprattutto a voi che rivolgo il mio appello fiducioso: vivete pienamente la vostra dedizione a Dio, per non lasciare mancare a questo mondo un raggio della divina bellezza che illumini il cammino dell’esistenza umana. […] Voi sapete bene di avere intrapreso un cammino di conversione continua, di dedizione esclusiva all’amore di Dio e dei fratelli, per testimoniare sempre più splendidamente la grazia che trasfigura l’esistenza cristiana. Il mondo e la Chiesa cercano autentici testimoni di Cristo» (n. 109).