Ornelas: Fatima, la Russia e l’Ucraina

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Foto di Mateus Campos Felipe su Unsplash

Approfittando della presenza in Italia di José Ornelas Carvalho, vescovo di Leiria-Fatima e presidente della Conferenza episcopale portoghese, gli abbiamo sottoposto alcune domande riguardanti il messaggio di Fatima oggi, l’identità odierna del Portogallo, gli abusi, la discussa legge sull’eutanasia e la prossima Giornata mondiale della gioventù prevista in Portogallo il prossimo anno.

Mons. Ornelas, il 18 luglio c’è stata la consacrazione del mondo alla Madonna di Fatima per scongiurare la guerra Russia – Ucraina. Qual è il deposito spirituale di Fatima sulla storia del ’900 e cosa significa oggi la “conversione” della Russia?

Il tema della Russia è questione molto presente nel messaggio di Fatima. Lo ricordo fin da bambino. Nel rosario in famiglia si pregava per la conversione della Russia. La Russia rappresentava tutto ciò che per il mondo dei semplici – tre bambini – è il male.

La Russia diffonderà i suoi errori: era il comunismo, era la guerra, era la pandemia per la quale sono morti due dei pastorelli. Un riassunto di tutto ciò che era negatività.

Nello stesso tempo, un invito a vigilare sulla questione della guerra, della decadenza, ma con la possibilità di pregare perché questo non accada. Rappresentava una lettura apocalittica della realtà con una possibilità di conversione e di redenzione.

Dichiarare santi due bambini di 8 e 10 anni, dalla comprensione così elementare della realtà, per i quali Maria rappresentava tutto ciò che è buono, è un segno di una Chiesa che si prende cura dei suoi figli anche bambini e fragili. Sono stati perseguitati, ma hanno affrontato tutto con grande fiducia.

Fatima ha rappresentato un messaggio di pace per un paese traumatizzato dalla partecipazione alla prima guerra mondiale, dove molti sono morti. Un messaggio di speranza: il male può essere arginato. Nelle litanie l’ultima invocazione è diventata Regina della pace.

Anche il Portogallo è stato consacrato alla vergine Maria. L’idea è di chiedere il dono della pace, anche oggi. Un momento forse non del tutto compreso, anche se il papa insiste sul carattere ingiusto e selvaggio di questa guerra. Da alcuni non è stato accettato il richiamo congiunto a Russia e Ucraina, come se venissero collocate sullo stesso piano. In definitiva, il messaggio di Fatima è la pace.

Il Portogallo: da impero a paese europeo

– Sempre in ordine alla memoria. Gli eventi del 1974 sono passati come la “rivoluzione dei garofani”. Come racconteresti oggi quell’importante passaggio della storia del Portogallo in funzione della coscienza ecclesiale?

Prima del 1974 il Portogallo viveva di una narrazione di sé come popolo messianico, salvatore dell’umanità, soprattutto allo scoppiare della guerra in Africa – a partire dagli anni Sessanta – e nelle popolazioni delle colonie. Una situazione crudele per questi paesi e anche per il Portogallo.

Nello sguardo della Chiesa il discernimento non è stato sempre molto chiaro. Ci sono stati dei perseguitati perché hanno preso le distanze dall’ideologia coloniale e messianica. La religione è stata strumentalizzata ai fini dell’ideologia. In quel periodo i paesi europei occidentali hanno preso ufficialmente le distanze, ma di fatto fornivano le armi al governo portoghese.

La rivoluzione ha ricondotto il paese a quello che era davvero, un paese europeo, non un impero. Il superamento di un’interpretazione messianica è stato un punto di svolta fondamentale per la Chiesa.

Paolo VI è stato fondamentale in questo processo. È stato sempre molto critico dell’ideologia coloniale. Ha ricevuto i capi dei movimenti ribelli, causando grande scandalo, ma ha messo le basi ecclesiali per smantellare le contraddizioni.

Dopo la rivoluzione, la Chiesa si è adattata bene alla nuova situazione. I nuovi vescovi non erano forse dei geni, ma sono stati straordinari nell’avvicinarsi al popolo. La Chiesa nata dopo quegli eventi è una Chiesa che ha cercato di rispondere alle nuove domande, un nuovo modo di annuncio del Vangelo, un nuovo modo di collaborare alla costruzione del Paese. E questo le permette oggi di essere riconosciuta come credibile.

La Commissione nazionale per gli abusi

– Hai avviato, come presidente della Conferenza episcopale, la commissione indipendente in ordine agli abusi degli ecclesiastici sui minori. Come è nata la proposta? Quali difficoltà si sono incontrate? Quanti sono i casi? Puoi accennare alle polemiche che hanno investito mons. Manuel Clemente?

Non abbiamo fatto niente di diverso da quello che hanno cercato di fare le altre conferenze episcopali nel contesto europeo. Sospettiamo di non aver avuto conoscenza di molti casi. Quelli finora censiti sono circa 400. Abbiamo dapprima costituito le commissioni diocesane per gli abusi, che dovevano essere punto di ascolto di possibili vittime, ma anche luogo di formazione e di sensibilizzazione.

Dopo qualche tempo, abbiamo constatato che non hanno svolto il ruolo che ci aspettavamo. Per molti mesi non è pervenuta alcuna denuncia. Di qui il dubbio che non funzionassero. Allora abbiamo puntato su una commissione nazionale – prevista fin dall’inizio – con funzioni di coordinamento in tutto il paese (10 milioni di abitanti e 20 diocesi). Siamo stati motivati dall’evidenza a concludere che non fosse una struttura ecclesiale il luogo più adatto per ascoltare le vittime. Di qui l’idea di una commissione indipendente, sufficientemente libera da suscitare la disponibilità a raccontare la propria storia.

L’altra evidenza è stata quella di concentrarsi sulle vittime per garantire loro uno spazio dove potessero sentirsi accolte e poter chiedere aiuto. Abbiamo identificato la persona giusta nell’esperto infantile Pedro Strecth, che ha accettato il compito di formare una sua équipe e impostare una metodologia di lavoro.

Abbiamo voluto una commissione non in vista di indagini sociologiche, ma per farci vicini alle vittime e prendere atto della realtà cruda e devastante delle atrocità commesse. E anche perché la Chiesa maturasse consapevolezza e assunzione di responsabilità, non inseguendo sensi di colpa, ma favorendo l’esigenza di chiedere perdono. Perché non succeda più e, se dovesse succedere, si sappia come rispondere.

Mons. Clemente non ha coperto nessuno

La commissione sta lavorando bene e ha acquisito credibilità davanti al Paese. Non vogliamo presentarci come i migliori, ma vogliamo presentarci come seri, a favore di tutta la società e la Chiesa. Nessuno può garantire che altri casi non succedano in futuro, ma faremo di tutto perché ciò non accada e perché si sappia come reagire.

La scelta non è stata accettata da tutti, perché la Chiesa non sempre è stata credibile nel contrastare un crimine orribile che la coinvolge. Deve chiedere perdono, ma anche attrezzarsi per assumere un ruolo responsabile nell’azione di contrasto.

La società e la Chiesa non avevano idea delle conseguenze distruttive che gli abusi, soprattutto sessuali, avrebbero provocato su un bambino e sulla sua personalità in formazione. Una consapevolezza maturata nei tempi recenti, grazie anche all’apporto delle scienze umane.

L’abuso sessuale è stato configurato come reato nel 1985, prima era considerato un attentato alla moralità pubblica. Solo nel 1998 è diventata obbligatoria la denuncia. Anche nella Chiesa è maturata la convinzione che non è solo un peccato (perdonabile), ma un reato pubblico che ferisce profondamente la persona.

Riguardo al caso di Lisbona e del suo vescovo, Manuel Clemente, si è parlato della copertura di un reato. Non è vero. Discrezione non è segreto. La giustizia non si fa sulla pubblica piazza. Tacere non vuol dire occultare. Quando è in corso un’investigazione, tutto viene tutelato dal segreto procedurale e professionale. Questo in Portogallo non viene sempre rispettato e le persone vengono pubblicamente condannate prima dei dovuti accertamenti.

Denunciare alla polizia è fondamentale, perché – come Chiesa – non abbiamo i mezzi per un’investigazione efficace. In favore della verità e per il bene della vittima e dell’autore è opportuna l’investigazione.

Non basta la testimonianza di fiducia del vescovo per sollevare dalle accuse. Perché la Chiesa sia chiara, devono essere prese misure tempestive. Il vescovo Manuel ha trattato il caso secondo le norme procedurali richieste in quel momento. È ingiusto quello che hanno detto di don Manuel come se nascondesse qualcosa o qualcuno.

Molte vittime non vogliono apparire in pubblico. Molte volte non rivelano neppure chi sia l’abusatore, rendendo impossibile un procedimento formale. Alcuni casi sono prescritti, altri non permettono il riconoscimento dei soggetti coinvolti.

Sinodo e GMG

– La Chiesa portoghese ospiterà l’anno prossimo la Giornata mondiale della gioventù. Come si sta preparando? Quali elementi sottolineeresti?

È un momento atteso e desiderato. Si aspettava una vasta partecipazione, compromessa però dalla pandemia e dalla guerra. C’è comunque molto fervore e metodo nella preparazione. Soprattutto nelle diocesi vicine a Lisbona che saranno maggiormente coinvolte. Abbiamo sollecitato la partecipazione di paesi africani di lingua portoghese e del Brasile. Si vorrebbe sperimentare un momento di sinodalità giovanile. Abbiamo imparato anche grazie all’aiuto della commissione della Santa Sede.

Non sarà facile, perché non si sa bene ancora su chi si possa contare. A ottobre iniziano le iscrizioni. Non sarà facile, anche a causa delle spese prevedibili. Il governo è partner perché la Chiesa è un soggetto mondiale e nessun evento nazionale ha avuto le dimensioni di una GMG.

È occasione di bonifica dei territori destinati all’evento, come è successo per l’Expo 1997. È un’opera che sarà molto utile per il paese e per la città. Vogliamo che per i nostri giovani sia un’esperienza unica, di accoglienza ecclesiale, di incontro multiculturale.

– Il Portogallo, come tutta l’Europa, ha attraversato l’estate in una bolla di calore. Il cambiamento climatico si è imposto all’attenzione di tutti. Due temi si sono imposti nel paese: quello degli incendi e quello dell’oceano. Puoi dirne qualcosa?

Il tema non è eludibile per il Portogallo, perché l’emergenza incendi si presenta ogni anno. L’emergenza climatica è tema molto sentito. Ho diffuso una nota pastorale al riguardo. Viviamo in una delle regioni dove nel 2017 ci sono state più di 200 vittime degli incendi. Il paese ha reagito, ma si impone una riorganizzazione complessiva dei servizi forestali.

Non dobbiamo dimenticare la questione mondiale, globale. Anche nella Chiesa è ormai una consapevolezza acquisita e non una questione marginale. Non si sopporta più una banalizzazione cinica del fenomeno. Ci sono negazionisti, come in ogni caso, ma non hanno seguito. In tutti i discorsi politici il passaggio verso energie sostenibili è diventato un imperativo nazionale. Il Portogallo detiene un primato in merito.

L’oceano è una componente fondamentale del paese. Se ne parla molto, ma abbiamo bisogno di un approccio serio, che comprenda anche la destinazione di risorse finanziarie e tecniche. Se si considerano le isole di Madeira e le Azzorre, si comprende l’ampiezza del tema oceano, per quanto riguarda lo sfruttamento come per la tutela.

Eutanasia: motivare il no

– A che punto è il confronto parlamentare e istituzionale sulla legge eutanasica? Come si è espressa la conferenza episcopale? Che difficoltà hai trovato nella comunicazione della posizione ecclesiale?

La conferenza episcopale ha una posizione molto chiara e ha giocato un ruolo positivo nel proporre la questione. Cinque anni fa, quando si è discussa la prima legge, si voleva indire un referendum. L’ipotesi non ha avuto seguito perché il Parlamento ha avocato a sé la questione. Riguardando diritti fondamentali, la questione non poteva essere sottoposta a referendum. Anche noi siamo stati sempre contrari al referendum.

Ma, durante la pandemia, quando molti facevano l’impossibile per rispondere all’emergenza, il Parlamento ha approvato silenziosamente la legge. Abbiamo denunciato questo comportamento come cinico. C’è un’intesa evidente tra tutte le confessioni religiose contro questa legge. Nella società è in atto una spaccatura a tutti i livelli. Due partiti (comunista e il CDS di destra) hanno votato contro. Due partiti di centro hanno dato libertà di voto. La legge è passata, ma il presidente già due volte ha opposto il veto alla legge. Il Tribunale costituzionale ha dato ragione al presidente. Il progetto tornerà sicuramente in Parlamento. La Chiesa si è pronunciata per un no chiaro, come in occasione della legge sull’aborto.

Non possiamo imporre una legge né accontentarci della semplice opposizione. Dobbiamo saper argomentare la nostra opposizione sul piano del dibattito civile. Non è una questione soltanto religiosa, ma è un fatto di civiltà.

Quando lo stato non offre cure palliative e sostegno alle persone morenti e non garantisce dignità nella malattia, l’eutanasia diventa una proposta ingiusta e deresponsabilizzante. L’apporto della Chiesa non è a livello giuridico, ma di formazione delle coscienze e di una cultura della vita. Non conosco Chiese o confessioni religiose in Portogallo che si siano pronunciate a favore dell’eutanasia.

Alcuni presentano la legge indebitamente come un atto di misericordia – il colpo di grazia ai prigionieri – o come un adeguamento alla legislazione similare di altri paesi. Le associazioni che operano in ambito sanitario, come l’ordine dei medici, si sono sempre dichiarate contrarie alla legge, soprattutto a quegli aspetti che riguardano i minorenni, e si preoccupano di tutelare i medici. È stata denunciata anche l’esclusione del diritto all’obiezione di coscienza.

Una Chiesa “dentro” il mondo

Dobbiamo maturare anzitutto come Chiesa, assumendo davvero un profilo sinodale. Dobbiamo essere collaboratori di una società migliore, protagonisti della formazione delle coscienze. Il Vangelo ci abilita ad essere una realtà che ha la forza di migliorare il mondo, di incoraggiare un cammino di speranza.

In questo tempo di cambiamenti radicali, le nostre società hanno la possibilità tecnica di trasformare il mondo come di distruggerlo. Il movimento solidale vuole collaborare a un mondo nuovo e sostenibile. La pandemia ci ha fatto capire che siamo tutti sulla stessa barca. Non serve una Chiesa che si chiude in sé stessa e nella sua dimensione spirituale, senza farsi carico della dignità e della cura delle persone.

In questo ultimo anno, durante la pandemia, sono cresciute le grandi ricchezze come le grandi povertà. Si sono radicalizzati i processi di pauperizzazione. È uno scandalo che mette a rischio il pianeta e l’umanità intera.

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