Se l’Africa tiene banco

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Uno sferzante giudizio sul vertice Italia-Africa dello scorso 29 gennaio arriva dal quotidiano Le Pays stampato in Burkina Faso: «Oggi l’Africa è al centro di ogni tipo di desiderio economico, e i discorsi sull’amicizia tra i popoli durante i grandi incontri internazionali servono solo a cullare il sonno degli africani, per sottrargli più facilmente le loro ricchezze. È per questo che in occasioni come il vertice di Roma il Continente dovrebbe vendersi a caro prezzo», conclude lapidariamente il giornale.

Mani libere

Non sono stantii rigurgiti di antico terzomondismo o «anticolonialismo 2.0» buoni per ogni occasione. Ha gelato l’entusiasta platea Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione africana ed ex Primo ministro del Ciad, affermando che: «Il continente africano vuole rapporti non allineati su un blocco unico, in cui nulla ci viene imposto», rivendicando così la piena libertà di avere mani libere nell’intrattenere relazioni politiche, stringere alleanze e fare affari con tutte le potenze interessate. C’è infatti la piena consapevolezza che i Grandi del mondo si interessano all’Africa solo per appagare le proprie necessità.

Mentre il Continente è oggi chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nella frantumazione in corso dell’ordine mondiale e deve prepararsi a cogliere ogni occasione per uscire dall’isolamento a cui è stato condannato per troppo tempo.

Questo significa che i Paesi ricchi non devono limitarsi a fare «l’elemosina» ma discutere e risolvere insieme i problemi per garantire sviluppo reale e fermare l’emigrazione che impoverisce l’Africa, costringendo all’esilio le generazioni destinate alla costruzione del futuro. Il Continente è in subbuglio e gli esiti sono incerti, proprio come non sono ancora chiare le conseguenze che avranno negli equilibri geopolitici i conflitti in corso in Ucraina e nella striscia di Gaza.

Le giunte golpiste di Burkina Faso, Mali e Niger hanno annunciato l’uscita dall’Ecowas, la comunità delle economie dell’Africa occidentale, spingendo l’acceleratore sulla instabilità di un’area fondamentale negli equilibri delle 54 nazioni. Questi regimi militari puntano alla costruzione di un’alleanza con Russia, Cina e monarchie del Golfo proprio mentre si infiltra sempre più pressante il proselitismo jihadista nelle comunità.

Instabilità ma essenzialmente imprevedibilità di una crisi in corso da anni e oggi deflagrata in tutta la sua potenza. La Francia esce di scena a pezzi dopo anni di faticosa gestione della regione. Mentre fanno il loro debutto nuovi attori che affiancano quelli storici (Stati Uniti, Russia, Cina, Europa).

L’Europa rincorre

A contendersi un posto in prima fila oggi sono anche medie potenze e quelle in crescita: India, Turchia, Iran, Brasile, Corea, Qatar, Emirati Arabi, Giappone. Ciascuna con un approccio diverso, con il ricorso a raffinate strategie di soft power che stanno mandando in cantina quelle conosciute di «usato sicuro».

«L’Africa non vuole tendere la mano, non siamo mendicanti. Vuole un cambiamento di paradigma per un nuovo modello di partenariato» ha aggiunto Moussa Faki a Roma.

È la svolta che comincia a preoccupare anche per le ricadute militari di questa politica delle «mani libere»: Mosca costruirà una base navale a Tobruk in Libia che consentirà alla flotta russa un secondo sbocco sul Mediterraneo per i propri sommergibili nucleari schierati di fronte all’Italia, ed anche la Cina è molto attiva in questo settore lavorando con attenzione verso il mar Rosso.

La «marcia turca» appare altrettanto inarrestabile: il volume degli scambi commerciali è oggi di 61 miliardi di euro a cui si affianca un attivismo frenetico che ha portato all’apertura di 31 ambasciate, e collegamenti aerei che uniscono Istanbul con 61 città africane, e poi borse di studio per gli studenti, intensa attività della Mezzaluna Rossa nelle aree di crisi, e via investendo.

L’Europa è costretta a inseguire scompostamente a piedi una locomotiva (lanciata in maniera ancora contraddittoria e con continui strappi, in un susseguirsi di stop and go) che non è rimasta in attesa degli eventi anche dopo la ritirata statunitense decisa dalla presidenza Trump e preceduta dalla delusione della gestione Obama. L’Africa può ambire a prendere il banco e dare le carte ma deve superare i limiti di una classe dirigente ancora non all’altezza delle prove che l’attendono.

Enzo Nucci. Giornalista; è stato corrispondente della RAI per l’Africa subsahariana. Pubblicato sul sito della rivista Confronti, 18 marzo 2024.

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