Nell’aprile 2005 un rapido conclave, durato due giorni, portava all’elezione al governo della Chiesa universale di Joseph Ratzinger, dal 1981 uno dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II.
In quell’anno Wojtyla lo aveva infatti sollevato dalla guida della diocesi di Monaco, che reggeva dal 1977 dopo una lunga carriera trascorsa nelle università tedesche come professore di teologia prima a Tubinga poi a Ratisbona, ponendolo alla direzione della Congregazione per la dottrina della fede.
Da Ratzinger a Benedetto XVI
Nonostante l’età ormai avanzata (era nato nel 1927), la scelta del conclave appariva abbastanza prevedibile. Il cardinale aveva svolto negli ultimi tempi all’interno della curia romana ruoli cruciali: decano del sacro collegio dal 2002, nel marzo 2005 aveva guidato la via Crucis in sostituzione dell’ammalato pontefice; aveva poi presieduto la messa per le sue esequie e aveva, infine, presieduto le celebrazioni liturgiche pro eligendo romano pontefice.
In queste occasioni – e in altri interventi di quei giorni, come una celebre conferenza tenuta a Subiaco sull’Europa nella crisi delle culture – i suoi discorsi presentavano una tesi di fondo: alla drammatica crisi ecclesiale in atto si poteva far fronte con un irrigidimento delle misure promosse dal predecessore di cui sarebbe stato strumento un potenziamento del ministero papale.
Si può dunque pensare che i cardinali elettori abbiano ritenuto di dover conferire il governo della Chiesa universale ad una personalità che, trovandosi da più di due decenni al centro degli affari ecclesiastici, aveva formulato una diagnosi e proposto una terapia per affrontare la difficile eredità lasciata da Giovanni Paolo II.
Non c’è dubbio che le misure promosse dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede negli anni precedenti avevano sollevato nella comunità ecclesiale diverse perplessità e critiche. Basta pensare alle censure nei confronti della teologia della liberazione, al confinamento della funzione ecclesiologica delle conferenze episcopali al piano pratico-pastorale, alla proclamazione della definitività delle proposizioni espresse dal magistero in materia di fede e di costumi, al trasferimento di competenze sui casi di pedofilia del clero dalla Congregazione del clero all’ex-Sant’Ufficio, una misura che finiva per aumentare la segretezza attorno a vicende su cui era esplosa la richiesta di trasparenza.
Ma è anche vero che Ratzinger godeva di un certo prestigio in ambienti progressisti: era stato uno dei periti più in vista del Concilio Vaticano II, dove aveva collaborato con l’arcivescovo di Colonia, Josef Frings, un autorevole esponente della corrente innovatrice.
Aveva in particolare sostenuto con puntuali argomentazioni teologiche l’approvazione della costituzione sulla Chiesa Lumen gentium. Nonostante il successivo scontro con Hans Küng, non aveva mai abbandonato il richiamo all’assise ecumenica, anche se aveva sottolineato che solo al magistero spettava la corretta interpretazione delle sue deliberazioni.
Poteva insomma apparire una scelta richiesta dalle complesse condizioni del momento affidare al cardinal Ratzinger l’attuazione di una linea capace di mantenere la fondamentale istanza conciliare – che, in termini generali, si può identificare in un rinnovamento della Chiesa allo scopo di restituirle efficacia apostolica nel mondo contemporaneo –, adeguandola poi nelle sue concrete applicazioni alla difficile situazione ecclesiale su cui egli stesso aveva richiamato l’attenzione.
Il disegno di un pontificato
Il nuovo pontefice – che assunse il nome di Benedetto XVI non solo in omaggio al messaggio di pace che Della Chiesa aveva lanciato nel mondo dilaniato dalla Grande guerra, ma anche, e assai significativamente, in ricordo di san Benedetto da Norcia che si era prodigato nell’evangelizzazione del mondo pagano – avrebbe ben presto ribadito l’ancoraggio delle sue posizioni al Vaticano II.
Ma avrebbe anche chiarito che, nell’interpretarlo, il magistero doveva filtrare l’esigenza di adeguamento della Chiesa ai tempi moderni alla luce di un principio supremo: la continuità della tradizione.
Naturalmente il principio, di per sé, costituiva un’asse portante della dottrina cattolica; ma, per quanto riguardava il rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno, il papa faceva rientrare nella tradizione anche assai recenti concezioni teologiche, in particolare la rielaborazione dell’eredità controriformistica compiuta dall’intransigentismo cattolico otto-novecentesco.
Questo atteggiamento è emerso sul piano esteriore con la decisione di rimettere in auge abiti (il saturno, il camauro), paramenti liturgici (il pallio, le mitrie e i piviali tradizionali), oggetti (la ferula e il tronetto di Pio IX) da tempo abbandonati nelle apparizioni pubbliche dei pontefici del post-concilio.
Ma ha trovato la sua più eclatante espressione con il motu proprio Summorum pontificum che, nel luglio 2007, reintroduceva la liturgia pre-conciliare, proclamando la singolare tesi che, nella Chiesa cattolica di rito latino, convivevano una modalità ordinaria della preghiera (quella introdotta dalla riforma liturgica di Paolo VI) e una modalità straordinaria (quella sancita nel 1570 dal cosiddetto messale di san Pio V).
Al di là di precipitose correzioni – come la nuova preghiera per gli ebrei inserita nella cerimonia del Venerdì santo del rito straordinario per evitarne l’incongruenza con i documenti conciliari, senza toccare le altre parti della liturgia che pure li contraddicevano –, il provvedimento aveva ragione nel progetto di riassorbire lo scisma del tradizionalismo anti-conciliare.
Nel gennaio 2009, infatti, la Congregazione dei vescovi emanava un decreto che revocava la scomunica inflitta da Giovanni Paolo II. I successivi incontri tra le due parti registrarono indubbie convergenze. Ma si arenarono su una questione: le garanzie canoniche chieste dai tradizionalisti, allo scopo di poter mettere in discussione le interpretazioni delle deliberazioni del Vaticano II date dal magistero. Benedetto XVI non riteneva insomma di poter spingere la volontà di reintrodurre la comunità anti-conciliare nella comunione ecclesiale fino al punto di consentirle di mettere in questione la suprema autorità del papato.
L’intangibilità del potere monarchico del pontefice sulla Chiesa aveva costituito lo scoglio su cui si era infranto il disegno di Ratzinger di chiudere lo scisma tradizionalista. Per quanto avesse definito il raggiungimento di questo obiettivo come un punto centrale del suo programma di governo, è difficile stabilire un collegamento diretto tra questa sconfitta e l’inattesa decisione enunciata nell’allocuzione al concistoro del febbraio 2013, di rinunciare al ministero petrino. L’atto, che non ha precedenti nella storia della Chiesa dell’età moderna e contemporanea, è stato variamente spiegato.
Per alcuni rientra in una decisione maturata fin dai primi anni del pontificato: lo mostrerebbe la deposizione del pallio sulla tomba di Celestino V, il papa del “gran rifiuto”, durante la visita alla basilica di Collemaggio a L’Aquila compiuta da Ratzinger nell’aprile 2009.
Altri hanno sottolineato la difficoltà di guidare la Chiesa universale davanti alle evidenti divisioni della curia romana in ordine alle misure da adottare per far fronte al moltiplicarsi degli scandali finanziari che coinvolgevano istituzioni vaticane e per prendere provvedimenti adeguati sulle sempre più frequenti rivelazioni circa la tolleranza dei responsabili ecclesiastici, e perfino della Santa Sede, davanti alla denuncia di abusi sessuali commessi dal clero, in particolare in ordine ai casi di pedofilia.
Lo stesso Ratzinger ha chiarito che, di fronte ai complessi problemi che pone oggi il governo della Chiesa universale, ha ritenuto di non aver più le forze sufficienti per prendere le misure necessarie ad una sua guida efficiente. Non c’è ragione di dubitare di questa interpretazione. Ma naturalmente il giudizio storico non può assumere acriticamente la valutazione espressa da un protagonista delle vicende considerate. Si tratta, infatti, di capire bene in cosa consiste l’inadeguatezza personale che il pontefice ha indicato come ragione delle sue dimissioni.
Governare il post-concilio
Occorre a questo proposito ritornare alla questione centrale con cui, a partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa si è dovuta misurare: come trasmettere il messaggio evangelico a un uomo moderno che sempre più si allontana dalla Chiesa? La linea pastorale a lungo praticata – proporre una società cristianamente ordinata come via per risolvere i problemi che la modernità poneva e non scioglieva – non appariva più in grado di recuperare i “lontani”.
Occorreva un aggiornamento. A questo proposito l’assise ecumenica ha fornito una risposta che, molto sommariamente, possiamo ritenere abbia oscillato tra due poli.
Da un lato, ha prospettato una linea di apertura al mondo moderno caratterizzata dal criterio di una rilettura del Vangelo alla luce dei segni dei tempi. Secondo quest’ottica, la Chiesa restituisce efficacia alla sua azione pastorale nella misura in cui impara dalla storia quali sono gli elementi del messaggio evangelico capaci di intercettare le istanze del presente e i bisogni profondi dell’uomo di oggi.
Dall’altro lato, ha presentato una prospettiva di aggiornamento della dottrina cattolica basata sull’inquadramento al suo interno di alcuni principi e valori della modernità. In particolare, ai fedeli si assegna il compito di costruire un retto ordine della vita collettiva basato sulla conformazione del consorzio civile ad una legge naturale valida per tutti, sempre e dovunque – di cui la Chiesa è l’unica autentica interprete e depositaria – all’interno della quale vengono ora fatti rientrare valori moderni come i diritti umani, la democrazia, la libertà religiosa.
I papi del post-concilio, non senza articolazioni e differenziazioni, hanno scelto questa seconda via. La cultura cattolica preconciliare riteneva di poter rispondere all’allontanamento dell’uomo moderno dalla Chiesa con il progetto di ritorno ad un regime di cristianità, che avrebbe assicurato una convivenza sociale prospera e felice in contrapposizione alle inadeguate proposte (liberali o comuniste) che gli uomini avevano elaborato nel loro cammino storico.
Senza tradire il Vaticano II – ma optando per una linea tra gli orientamenti presenti nei suoi documenti – i pontefici che hanno cercato di tradurre le deliberazioni dell’assemblea ecumenica in una concreta linea di governo hanno ritenuto di proporre ai contemporanei un’ammodernata neo-cristianità che faceva perno sull’universale legge naturale garantita dalla Chiesa. Benedetto XVI ne è stato l’interprete più conseguente.
Ne era probabilmente all’origine una visione culturale introiettata nel corso di un percorso formativo avvenuto prima della svolta giovannea e conciliare. In effetti, in armonia con le tendenze di quell’epoca, il sapere trasmesso nelle istituzioni educative della Chiesa evitava ogni serio confronto con la storia, ed in particolare con la storia del cristianesimo, nel timore di cadere nell’eresia modernista. Il pensiero teologico di Ratzinger, per quanto raffinato, era del tutto alieno dal confronto con l’effettivo divenire dell’uomo e della Chiesa nel tempo.
Comunque sia, il papa rispondeva alla crisi determinata dall’allontanamento dei contemporanei dal cattolicesimo con una linea che riprendeva l’ammodernamento dottrinale: la restituzione alla Chiesa del compito di fissare, nei pubblici ordinamenti, quei fondamentali diritti che, basati sull’universale legge naturale, salvaguardavano le fondamenta stesse della civiltà umana, le avrebbe assicurato un’efficace presenza apostolica nella società contemporanea.
In particolare l’Europa, riconoscendo formalmente le radici cristiane del suo progetto politico-sociale, sarebbe uscita dalla sua decadenza, ritornando a svolgere un rilevante ruolo storico e politico nel rapporto con altre civiltà e religioni, in particolare quella islamica, che avanzavano, talora anche aggressivamente, sulla scena di un pianeta globalizzato.
Per quanto l’incidente sia stato ricucito sul piano diplomatico, l’attribuzione all’islam di una strutturale tendenza alla violenza bellica nel discorso tenuto dal pontefice nel settembre 2006 a Ratisbona rientra in questo quadro.
Questa prospettiva ha ben presto rivelato tutta la sua fragilità. Non solo perché si è scontrata con l’irriducibile tendenza dell’uomo moderno all’emancipazione dalla tutela ecclesiastica nella strutturazione della comunità politica. Soprattutto perché è apparsa sfasata rispetto al profilarsi della post-modernità.
Come se la storia non esistesse
Per quanto sia arduo darne una definizione condivisa, la possiamo considerare caratterizzata dalla rivendicazione della facoltà per ogni individuo di autodeterminare le forme dell’esistenza non solo in relazione agli assetti politici, sociali e culturali della vita collettiva, ma anche in rapporto alle più profonde strutture antropologiche del soggetto (il corpo, la nascita e la morte, l’identità sessuale ecc.).
In questa situazione, l’ammodernata neo-cristianità proposta dal papa appariva del tutto obsoleta: il richiamo alla legge naturale, lungi dal restituire capacità apostolica alla Chiesa, finiva per provocare un ulteriore allontanamento degli uomini da essa. La crisi del paradigma di aggiornamento adottato da Benedetto XVI è apparsa inevitabile.
Le dimissioni sono state il riconoscimento della sua inadeguatezza. Non a caso la linea del successore fa perno sul recupero di quella prospettiva di rinnovamento ecclesiale, incentrato sull’accettazione dei segni dei tempi emergenti dalla storia, che il papato post-conciliare aveva abbandonato.
Sotto questo profilo la rinuncia al governo della Chiesa universale appare un atto di straordinaria lucidità e responsabilità. Si può discutere se la concreta gestione dell’inedita funzione di “papa emerito” che Ratzinger si è poi riservato sia stata coerente con questa decisione.
Gli interventi da lui compiuti in questa veste continuano a rivelare quella sordità alla storia che è elemento costitutivo della sua personalità intellettuale: la semplicistica attribuzione della pedofilia del clero alla rivoluzione sessuale del Sessantotto ne è una delle più evidenti testimonianze. Ma queste esternazioni non hanno certo impedito che al modello ecclesiale della “cittadella assediata dal mondo moderno” si sostituisse ormai quello “dell’ospedale da campo” all’interno della storia degli uomini.
Naturalmente riconoscere l’autonomia dell’uomo d’oggi, offrendo la medicina della misericordia alle ferite che incontra nel suo cammino storico, non garantisce il superamento della crisi cattolica. Ma le dimissioni di Benedetto XVI hanno rivelato che la strada dell’ammodernamento percorso fino a quel momento dal papato post-conciliare era un vicolo senza uscita.
La responsabilità di certe tensioni attuali nella Chiesa, più che nell’azione dei singoli pontefici, sta, come ammette Menozzi, nell’ambiguità dei prolissi documenti conciliari che, ad esempio sui rapporti con la modernità, indicano, da un lato, la via di una “rilettura del vangelo alla luce dei segni dei tempi” per cui la Chiesa “impara dalla storia quali sono gli elementi del messaggio evangelico capaci di intercettare le istanze del presente”; e, dall’altro, ha prefigurato “una prospettiva di aggiornamento della dottrina cattolica basata sull’inquadramento al suo interno di alcuni principi e valori della modernità, assegnando a fedeli il compito di costruire un retto ordine della vita collettiva basato sulla conformazione del consorzio civile ad una legge naturale valida per tutti.” Insomma due strade ben diverse. Solo un nuovo concilio potrà risolvere questa fondamentale ambiguità.
È comico-tragico vedere come i difensori della fede cattolica tradizionale buttino a mare il papa attuale (che la figura del papa non faccia più parte della loro visione di chiesa?) e come tutti facciamo fatica a vedere nel papa un fratello, con i suoi limiti, ma dono dello Spirito santo alla Sua chiesa, in un preciso momento storico. Cristo con la sua mano tesa a noi nel mare tempestoso di questo tempo complesso, ma ricco di possibilità profetiche, non mancherà di renderci saldi.
Periodo molto complesso il nostro, a partire da Giovanni XXIII sono state fatti passi importanti da parte di tutti i pontefici perché la voce, i gesti, i contenuti della chiesa istituzionale potessero non cadere nell’antipatia e nella dissonanza davanti agli occhi e alle orecchie della stragrande maggioranza del popolo di Dio. Il ritiro di Benedetto XVI è stato un atto di pienezza umana sublime, una svolta decisiva per la Chiesa. L’avvento di papà Francesco ha portato a riaprire nella chiesa quei preziosi contenitori di profumo evangelico, coperti da molta polvere, e ciò porterà inevitabilmente la chiesa tutta a sintonizzarsi in pieno con i desideri di Cristo Gesù…
Ma quali preziosi “contenitori di profumo evangelico?
Gli scandali del Palazzo di Londra? La cacciata del card . Becciu prima del processo? La protezione di Zanchetta e di Rupnick? L’ adorazione della Pachamama ? Sono quest i desideri di Gesu’ Cristo con cui dobbiamo ” sintonizzarci” ?
‘ L’ adorazione della Pachamama ‘ ovvero la bufala creata da EWTN e dai tradizionalisti statunitensi per avidità e voglia di spalare fango, in quanto la statuetta non era la Pachamama, e nemmeno un idolo, e insieme a tutti gli elementi presenti voleva rappresentare l’Amazzonia per la quale si stava pregando
Rupnik poi è in giro da decenni, e nessuno, nessuno per tutto questo tempo ha mai detto niente, compresi i predecessori di Francesco, i quali hanno fatto anch’essi gravi sbagli in questo ambito (Maciel in primis)
Una rilettura critica del pontificato di Benedetto XVI proposta da uno storico “di professione”. Senza dubbio stimolante e interessante. Personalmente apprezzo contributi di questo tenore,magari non tutte le interpretazioni proposte sono convincenti ma si tratta comunque di un tentativo meditato di lettura storica di un pontificato tra i più difficili del secondo Novecento. Magari ci fosse in ambito ecclesiale una più matura cultura storica! Farebbe forse molto bene anche per comprendere e affrontare meglio il cambio storico epocale che stiamo vivendo, un cambio per affrontare il quale non basta rifugiarsi nel sapere teologico
Che papa Francesco non sia “figo e alla moda” lo dimostrano i commenti pieni di astio che ho appena letto. La crisi della Chiesa ha lunghe radici e tante ragioni: sarebbero necessarie riflessioni complesse e pacate e forse un minore spirito scismatico e guerriero.
Se lei approfondisse la figura, le parole e gli atti di Bergoglio, capirebbe che è esattamente il contrario.
E’ di moda e mondano, dalla parte del potere, a tal punto che riceve un costante plauso.
L’ “astio” lo nutre proprio Bergoglio, nei confronti dei non pochi che lo richiamano alla Verità Cattolica.
Lo “scismatico” è proprio lui, col suo “spirito” di ambiguità, confusione ed errore.
Maria Madre della Chiesa, prega per noi !
Vorrei sapere quali, secondo l’autore, erano all’infuori della preghiera per gli ebrei le parti del rito della messa che contraddicevano il Concilio.
Ma sicuramente la lettura del Vangelo molte volte fatta in latino e direi che tutta la messa era recitata in latino. Questo contraddiceva ampiamente lo spirito del Concilio Vaticano II
più che il latino il fatto che il celebrante proclamasse buona parte delle preghiere presidenziali sottovoce (Canone compreso), e quindi molti fedeli avessero difficoltà a seguire quello che si faceva
poi un lezionario povero, che mancava delle letture feriali
un calendario ingolfato di santi spesso non universalmente rilevanti
la creazione del Nuovo Rito in un tempo così breve ha comunque provocato uno scossone immenso, e molte scelte compiute nel crearlo sono state eccessivamente ottimiste: sarebbe stato necessario più tempo e maggiore riflessione, e quindi una maggiore gradualità nel compiere la Riforma Liturgica
Secondo Sacrosanctum Concilium soltanto alcune parti della liturgia (letture e acclamazioni) si sarebbero potute pronunciare nelle varie lingue moderne.
Mi pare che la riforma di Paolo VI sia contro le previsioni conciliari.
Rileggere il Vangelo alla luce della storia, dei “segni dei tempi”, cosa significa oggi? Io vedo irreversibile il processo di secolarizzazione: è, nella mia famiglia, l’autonomia rivendicata dai figli nella gestione della sessualità e del matrimonio (civile, dopo la convivenza), nascita programmata dei figli (questo vale già per me e mia moglie Laura, quest’anno alle nozze d’oro), rinuncia al battesimo dei figli neonati. La nascita, il matrimonio, la morte sono i tre eventi che, secondo Ernesto De Martino, in tutte le culture sono solennizzati dalle religioni, e che oggi, faticosamente, anche in Italia si inventano dei sostituti nei riti civili. Nella “Lettera dei nonni” io e Laura abbiamo proposto una “Festa in città per tutti i bambini di ogni religione e cultura” (la trovate in Viandanti.org). In questa società il Cristianesimo sarà minoranza, con il compito di essere lievito.
Credo che l’analisi del Menozzi sia condivisibile, anche se parziale. Non considera la scarsa capacità di governo, che ha contribuito ad atterrare Benedetto XVI. Anche la finezza teologica non va confusa con la profondità. E’ stato un buon scolastico e ben lo rappresenta la “Introduzione al cristianesimo”. La risposta al “relativismo” data sul modulo filosofico della razionalità postilluministica sconta la carenza del lavoro dei teologi sui fondamenti dell’etica. Personalmente però penso che la chiesa dovrebbe parlare più ampiamente e più direttamente di Cristo e del suo messaggio
Dall’aria che tira sembra proprio che la morte di BXVI scatenerà il regolamento di conti tra ultraprogressisti e “resto del mondo”. Allacciare le cinture di sicurezza: si decolla!
“Il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto.
Gli ultimi infatti meritano misericordia,
ma i potenti saranno vagliati con rigore.
Il Signore dell’universo non guarderà in faccia a nessuno,
non avrà riguardi per la grandezza,
perché egli ha creato il piccolo e il grande
e a tutti provvede in egual modo.
Ma sui dominatori incombe un’indagine inflessibile” Sapienza 6
L’odio di tanti sedicenti cattolici verso Ratzinger da vivo, prosegue verso Ratzinger da morto. Non gli perdonano di essere stato il custode della dottrina, l’integerrimo difensore dell’ ortodossia. Fosse stato un debole e pervertito, uno che arrivava a compromessi, un vile, l’avrebbero amato di più. L’odio verso chi proclama la verità senza compromessi ci sarà sempre: chi infatti è traditore e apostata non può sopportare, aborre chi invece si è mantenuto fedele. Benedetto prega per tutti coloro che ti odiano ora da morto come da vivo: prega per loro perché non sanno quello che fanno.
Odio? Sedicenti cattolici? Traditore e apostata? Ti rendi conto della pesantezza di queste accuse infondate e completamente fuori luogo?
Non c’è nessun odio da parte mia nei confronti di Benedetto XVI, anzi lo stimo e gli sono riconoscente per il suo servizio. Ma la Scrittura non può essere annullata: ” A chi molto è stato dato, molto sarà chiesto”. Benedetto XVI ha avuto enormi responsabilità e adesso è al cospetto di Dio. Egli ha avuto un enorme potere nel corso del suo servizio per il Signore. E’ sempre riuscito a non ferire i fratelli o a agire con giustizia in tutte le gravi questioni che ha dovuto trattare come vescovo, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Papa? Ha sempre agito con carità ed equità nelle innumerevoli scomuniche, provvedimenti disciplinari che ha inflitto? Speriamo certo di si. Ma Papa Francesco ha chiesto preghiere per lui perchè, molto cattolicamente, nessuno può essere certo che Benedetto XVI sia volato dritto in Cielo. Le parole citate del libro della Sapienza si applicano a tutti i potenti, re, politici, ecclesiastici (progressisti o tradizionalisti poco importa) uomini d’affari. Nella vita sono stati in una posizione di privilegio, hanno potuto difendersi ricorrendo a mezzi che altri non hanno. Al momento della morte tutto sarà scoperto e dovranno pagare l’eventuale male fatto agli altri usando con crudeltà il loro potere. Dio non guarda in faccia ad alcuno. Il Signore “ha rovesciato i potenti dai troni”. I piccoli e le persone che hanno subito ingiustizia sono sempre le favorite davanti a Dio rispetto al potente di turno.
Anzichè essere così severe nei confronti di PAPA Benedetto XVI si chieda piuttosto con quanta “carità” ed “equità” ha agito Jorge Mario Bergoglio nello scomunicare, nel rimuovere, nell’emarginare … E sempre che questi provvedimenti siano canonicamente validi provenendo da un “ferro rotto” (Savonarola).
Si chieda anche se si può usare l’avverbio “cattolicamente” rispetto a costui.
Se parla di “potere” è a Bergoglio che dovrebbe applicarlo, non certo all’umile lavoratore nella vigna del Signore che è stato PAPA Benedetto.
Maria SS. Madre della Chiesa, prega per noi !
A mio avviso si tratta di un articolo molto interessante a prescindere che se ne condivida o meno il contenuto. Merita di essere letto e meditato con attenzione. Spiace leggere su questa rivista commenti cosi poco ponderati. Chiederei cortesemente alla redazione di chiudere lo spazio commenti. Cordiali saluti, Mario Gazzotti
Perché si dovrebbe chiudere la sezione comenti? Solo perché a lei non piacciono alcuni commenti?? Della serie “evviva il pensiero unico”. A me, per la ragioni esposte sotto, dopo aver letto con attenzione, risulta parziale. Un Papa non può essere giudicato sulla base di un solo aspetto che qui viene preso in considerazione: è riduttivo!!!
Con la passione e morte di Gesù si sono compiute le scritture, è venuto al mondo per quello. Per quanto riguarda Francesco non mi esprimo. Francesco, però, non sarà ricordato per quante volte è apparso sul Time ma come Pontefice, successore di Pietro .
Mario Gazzotti concordo con lei.
Gent. Fabio, per me non si tratta di leggere commenti che non mi piacciono. Io sono di quelli che – più che scrivere commenti – amano leggere le opinioni le più diverse perché sento importante ascoltare tante voci, anche quelle più lontane dalla mia per cogliere i diversi aspetti della realtà. Mi sconfortano i commenti rancorosi e simili al tifo calcistico, quelli sì davvero riduttivi e offensivi. Per quelli ci sono altri social. La mia voleva essere una ironica provocazione. Cordialità.
Giovanni XXlll verrà ricordato per la lungimiranza di aprire il Concilio. E per il discorso della luna.
Paolo Vl per aver completato il Concilio.
Giovanni Paolo II verrà ricordato per l’incontro interreligioso di Assisi.
Benedetto XVl per la sua rinuncia al pontificato.
Francesco per aver ridato parola ai Teologi e ai Moralisti.
Unicuique suum
Unicuique suum.
Unicuique suum.
A parte che qualunque Papa in quanto successore di Pietro non dovrebbe dare la parola, come dice lei, ma pascere le pecorelle e gli agnelli del Signore e confermare i suoi fratelli nella fede e non generare errore, ambiguità, confusione; Jorge Mario Bergoglio ha talmente ridato la parola, come dice lei, che i 4 Cardinali dei 5 “dubia” su “Amoris Laetita” ancora attendono risposta. Due l’hanno già avuto dal Padre Eterno. Un consiglio: lasci stare il Latino e la giustizia dopo quel che ha scritto sui 4 PAPI.
Maria Madre della Chiesa, prega per noi !
I tradizionalisti hanno visto in Ratzinger, un modernista, e i progressisti lo hanno visto come retrogrado. Penso, invece, che verrà ricordato come un Papa di transizione, che ha portato in sé nova et vetera. Ratzinger era una personalità complessa, perchè certamente conservatore, ma aperto a delle novità.
Ogni liturgista “progressista” non può che lodare il “semaforo verde” che da Prefetto diede al riconoscimento della validità dell’Eucaristia celebrata con l’anafora di Addai e Mari
Nell’incontro europeo di Taizé a Roma del 2012, al quale ho partecipato, Benedetto XVI disse a Piazza San Pietro il 29/12/2012 : “Vi assicuro dell’impegno irrevocabile della Chiesa cattolica a proseguire la ricerca di vie di riconciliazione per giungere all’unità visibile dei cristiani.”
Infatti dovrebbe piacere almeno ai cristiani. Meglio un ospedale da campo dove puoi andare a curarti piuttosto che una cittadella in cui manco puoi entrare. Perché se Gesù è venuto per i malati, la chiesa deve piacere almeno malati. E se mi permette ai malati serve un ospedale.
Io credo che la chiesa di Bergoglio piaccia ai malati. Chi è sano ha altre esigenze.
La Chiesa di Bergoglio piace ai malati: ai pedofili, ai travestiti,agli abusatori stile Rupnick . Ci si sentono benissimo : possono continuare impunemente a fare quello che fanno. Gesu’ i malati li guariva non li illudeva .
Piace anche ai sani. Quelli che sono sani. Di mente, dico. Ai farisei di turno, non garba. C’è ne faremo una ragione.
Francesco “è figo ed alla moda” ? Vuol dire che anche Gesù lo era.
Gesu’ non era “Tanto alla moda_” infatti l’ hanno crocifisso …invece Francesco e’ alla moda e lo mettono sulle copertine di Time.
Fra cento anni, ma che dico, fra cinquant’anni di Bergoglio non si parlera’ piu’ e i vecchi numeri di Time verrano usati per accendere il fuoco
Anche il numero di Time con san Giovanni Paolo II man of the year? (December 26, 1994, Vol. 144 No. 26)
Credo che di fronte a figure così complesse si possano trovare sempre luci ed ombre. Ritengo che solo il tempo potrà farci apprezzare di più la figura di Benedetto XVI. In questo articolo, purtroppo, emerge chiaramente un’idea del Menozzi e non si tiene conto di altri elementi che hanno connotato il pontificato di Ratzinger. Insomma è un commento a caldo che manca di quella lucidità necessaria a vedere le diverse sfaccettature di un prisma: la complessità non può essere mai ridotta ad un’idea.
A me sembra lucido e ben fatto. Complimenti all’autore.
Lo trovo estremamente parziale. Manca cenni al dialogo con gli ebrei, alla lotta contro gli abusi, al tentativo di riforma economica, al dialogo con le altre religioni. Parziale! La realtà – che in questo caso è complessa – supera l’idea che il Menozzi ha dato di Benedetto XVI.
Complimenti per la sincerità.
Benedetto XVI era fuori moda e nessuno lo seguiva più.
Invece il suo successore è figo e alla moda e perciò tutto il mondo pende dalla sua bocca.
Peccato che non sia vero.
La crisi non è finita, anzi si è aggravata.
Per l’Italia basta vedere i risultati dell’otto per mille.
E poi non mi pare che la Chiesa abbia ricevuto il compito di piacere al mondo.
In ogni caso non c’è riuscita con Benedetto e neppure con Francesco.
Chi sono io per giudicare? “Non giudicare perchè sarai giudicato”. Solo Dio è nostro giudice e certi commenti proprio non mi piacciono. Ma volete chiudere i commenti?
Signora Roberta, forse Lei non ha emesso un giudizio?