È passata come un’ingiunzione di sfratto la lettera del ministero della cultura dell’Ucraina ai responsabili ecclesiali della Chiesa ortodossa non autocefala (o filorussa): il 29 marzo scade il contratto d’uso del complesso della «Lavra delle grotte», un insieme monastico di 23 ettari con 140 edifici fra cui due delle chiese maggiori e le sedi di un monastero, seminario, accademia e uffici centrali, collocato nel cuore di Kiev.
In realtà, come ha fatto notare P. Anderson, si tratta di un avviso di soluzione del contratto di locazione esistente. Nella stessa comunicazione si chiedono un paio di nomi per una commissione dedicata alla determinazione del contratto futuro.
Gestire i simboli
Questo non toglie il significato simbolico e politico della decisione: la volontà del governo, impegnato in una guerra cruenta con la Russia, di privilegiare una Chiesa ortodossa di stampo nazionale, senza più alcun legame con Mosca. La Chiesa c’è già: è quella che fa capo al metropolita Epifanio che, nel 2019, ha ricevuto il riconoscimento di autocefalia da parte del patriarca di Costantinopoli (cf. SettimanaNews qui e qui).
Da allora le due Chiese si sono confrontate in molte maniere, senza scontri pubblici, ma anche senza dialoghi. Con lo scoppio della guerra e la ventata di identità nazionale, la Chiesa filorussa è entrata nel mirino dei sospetti di fiancheggiamento all’invasore, nonostante decisioni conciliari che hanno sancito una più netta indipendenza da Mosca.
Da una posizione di neutralità, il governo Zelenski è passato, dopo alcuni mesi di guerra, a un’azione diretta. Centinaia le perquisizioni a parrocchie e monasteri, sospensione dell’uso delle chiese maggiori della Lavra, restrizioni della libertà per un centinaio di ecclesiastici, fra cui 14 gerarchi, testimoniano la convinzione dei servizi di polizia del paese di margini di complicità non tollerabili nell’attuale contesto bellico.
Nei territori occupati del Donbass le diocesi locali hanno accettato senza tensioni l’amministrazione russa. Al parlamento di Kiev giacciono una decina di proposte di legge che mirano a disciplinare le Chiese che abbiano riferimenti agli stati aggressori. Una commissione di esperti ha attestato l’esistenza di legami ambigui della Chiesa del metropolita Onufrio col patriarcato di Mosca. Conclusioni fortemente discusse nella Chiesa non autocefala.
Per il segretario della sua accademia, l’esarca Mitrofano, la commissione ha forzosamente legato gli statuti della Chiesa ucraina con quelli della Chiesa russa, ignorando i significati distinti fra autocefalia, autonomia e legame ecclesiastico. A suo avviso, il livello di indipendenza della propria Chiesa è persino superiore a quello di alcune Chiese autocefale.
La questione della Lavra si colloca in questo quadro. Il poderoso centro monastico, fondato nel 1051, è uno di primi e più prestigiosi luoghi dell’ortodossia slava. Solo due altre abbazie in Ucraina e in Russia portano il titolo di «lavra». Nelle grotte del monastero sono raccolte oltre 120 sepolture e reliquie di santi ed esso costituisce da secoli un riferimento per la fede e la più recente identità nazionale. Già nel dicembre scorso le due grandi chiese della «Lavra superiore» sono state affidate al culto della Chiesa autocefala. Ora si avvia la discussione sull’intero complesso.
Un capriccio
Molto dure le proteste degli interessati. Già in gennaio il responsabile della comunità monastica, il vescovo Paolo, aveva chiamato a difesa l’intero mondo monastico ortodosso. Il vescovo Pimene di Rovno ha invitato tutti i cristiani ad agire in difesa del santuario, denunciando l’intento dello stato di «annientare la Chiesa ortodossa ucraina».
Davanti a una folla considerevole di fedeli, il 12 marzo scorso il metropolita Onufrio ha rivendicato il ruolo decisivo della sua Chiesa e dei monaci nel restauro dell’intero plesso: «Vi chiedo, cari fratelli, di pregare perché il Signore cambi il pensiero di quelle persone che vogliono espellere i nostri fratelli dal santo monastero». Molto più drastica l’amministrazione della Lavra: «L’unica ragione per l’espulsione dei monaci dal santuario ortodosso è un capriccio dei funzionari del ministero della cultura, proprio come succedeva sotto le autorità sovietiche negli anni Sessanta».
Zelenski ha risposto che non sarà concessa alla Russia «alcuna possibilità di manipolare la spiritualità del nostro popolo, distruggere i santuari ucraini o rubare qualsiasi oggetto di valore». Con l’imperativo «di rafforzare la nostra indipendenza spirituale».
A parte l’emergenza bellica, l’interventismo dello stato sulle fedi crea sospetti in Occidente, ma è coerente con la tradizione ortodossa slava. Non casualmente il contratto di locazione precedente (2013) era stato favorito dall’allora presidente filorusso Victor Janukovyč. Del resto, il patriarcato di Mosca non ha aspettato molto per rivendicare alla propria giurisdizione diretta le diocesi del Donbass e quelle della Crimea. Nel contesto di uno stato di diritto, il giudizio dev’essere più argomentato.
Per questo il papa è intervenuto al termine dell’udienza generale in difesa delle monache della Lavra: «Penso alle suore ortodosse della Lavra di Kiev. Chiedo alle parti in guerra di rispettare i luoghi religiosi. Le suore e le persone consacrate alla preghiera, a qualsiasi confessione appartengano, sono sostegno del popolo di Dio».
Sorprende che alle libertà «occidentali» facciano ricorso le proteste convergenti del ministro degli esteri russo, Sergey Lavrov, e del patriarca Cirillo. Il primo ha denunciato all’ONU e all’OSCE le violazioni dei diritti umani e costituzionali in atto in Ucraina verso i credenti ortodossi. Il secondo ha scritto a tutti i responsabili delle fedi e delle religioni. «È deplorevole che, sebbene la leadership statale dell’Ucraina proclami il suo impegno per i principi democratici…, questi diritti e libertà vengano violati oggi nel modo più flagrante» e invita tutte le istituzioni a «compiere ogni sforzo per impedire la chiusura forzata del monastero».
Interventi che, probabilmente, non hanno fatto piacere alla Chiesa di Onufrio la quale, in una situazione similare (la protesta presso il Consiglio di sicurezza dell’ONU, 17 gennaio) ha dovuto prendere nette distanze dagli ingombranti difensori. Un’operazione internazionale di segno opposto, a favore del governo ucraino, è quella del Consiglio ucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose (UCCRO) che sta girando nei paesi occidentali per creare consenso agli orientamenti libertari del popolo ucraino.
A prescindere dalla questione della lavra, l’organismo è stato a Berlino (2015), all’Avana (2016), a Strasburgo (2017), in Israele (2019) e, nel gennaio di quest’anno, in Vaticano.
Caro p. Lorenzo,
grazie per l’articolo, ma voglio precisare qualche punto. Il 29 marzo non scade nessun contratto per gli edifici della Lavra, infatti, non esiste una scadenza, e Janukovyč non c’entra — gli edifici erano restituiti, non tutti nello stesso tempo, nel periodo fra 1988 e circa 2014. Si parla di contravvenzione contro il contratto, ma alla questioni quali contravvenzioni, il governo risponde che il documento che le elenca è riservato. I servizi di polizia che hanno fatto le perquisizioni hanno presentato giornali di prima della rivoluzione russa o libri con titoli come “La mia vita in Cristo” come “prove” di collaborazionismo e la “commissione di esperti” era composta da persone che già in precedenza avevano espresso la loro ostilità alla Chiesa ortodossa ucraina sotto il Metropolita Onufrij. E sul motivo di “distruzioni
di santuari ucraini” o “furto di oggetti di valore” allego una serie di foto che mostrano in che stato gli edifici della Lavra erano stati restituiti ai monaci e in che stato sono oggi.
Ciò che sta accadendo in Ucraina sul piano religioso è un’interventismo dello stato in questioni di appartenenza religiosa, contro i diritti umani e contro i valori democratici. Non esiste nessuna “tradizione ortodossa slava” per questo. Se c’erano dei casi simili nel passato, erano ai tempi quando anche nell’Occidente lo stato pensava di poter determinare la fede dei suoi sudditi. La Chiesa ortodossa ucraina è la più grande confessione in Ucraina, e gli atti del governo che cercano di distruggerla (come viene detto espressamente da persone in posizioni ufficiali) sono un grave attacco contro i diritti dei milioni di credenti ucraini — un attacco tanto più grave che si svolge durante una guerra contro il nemico invasore, quando ci vorrebbe la massima unità dentro la nazione ucraina.
https://news.church.ua/2023/03/16/kijevo-pecherska-lavra-do-i-pislya-jiji-peredachi-cerkvi-foto/#2023-03-17
Carissimo p. Lorenzo,
come le ho scritto altre volte, apprezzo molto i suoi articoli, sempre molto documentati ed equilibrati, di aggiornamento ecumenico, soprattutto queli relativi alla galassia delle chiese ortodosse, e più recentemente riguardo alla tristissima situazione ucraina, già compromessa prima dello scoppiare del conflitto, e ora dopo un anno di guerra giunta a livelli penosissimi e drammatici, soprattutto per la popolazione e i fedeli presenti nel paese. Sono ben cosciente che in articoli di presentazione divulgativa di questo genere è inevitabile un certo grado di approssimazione, per far intendere al pubblico dei lettori l’essenziale e le dinamiche in gioco, è da tempo però che vorrei chiederle di evitare, se possibile, l’uso dell’espressione “Chiesa filo-russa”. E’ un’espressione impropria, ingiusta, irrispettosa e in questo momento financo offensiva. Non rispecchia la verità dei fatti, come so da fonti di prima mano. Una dei membri della nostra comunità è ucraina. La Chiesa Ortodossa Ucraina presieduta dal Metropolita Onufrij (la si chiami così, o in modo simile, come fanno altri siti ortodossi come orthodoxie.com), è in una situazione delicatissima, posta com’è tra due fuochi. Da tempo è autonoma da Mosca, cui la lega solo un vincolo canonico puramente formale, ormai, vincolo che essa non ha il potere di rompere totalmente in questo momento perché altrimenti si metterebbe in una situazione non canonica, di fatto scismatica, perché non ci sarebbe nessun patriarcato a questo punto disposta a riconoscerla come chiesa autocefala. Da parte sua non è disposta neppure, almeno per adesso, a fondersi sic et simpliciter con la Chiesa Ortodossa dell’Ucraina riconosciuta da Costantinopoli, quella presieduta dal Metropolita Epifanij, perché essa ritiene che la costituzione di questa chiesa sia avvenuta in modo non canonico, ovvero attraverso una grave violazione di canoni, in modo non conforme alla tradizione, ecc. ecc. Una posizione che si può discutere, ma che va rispettata. Non sta a noi giudicare dall’esterno. Quel che è chiaro è che la sua posizione non può più essere assimilata a quella di una “chiesa filo-russa”. Continuando a chiamarla così, anche sui media occidentali, si fa il gioco di Mosca che la difende proprio per mostrare che essa è ancora legata a lei, mentre non è vero. Gli stessi ortodossi ucraini, come lei dice hanno preso le distanze da questo scomodissimo endorsement russo. Quindi, la prego, negli articoli che, come spero vivamente, seguiranno riguardo a questa drammatica situazione in continua evoluzione, cerchi di evitare quell’espressione infelice.
ricordiamoci che Onufrio fin dal primo giorno ha chiesto a Putin di interrompere la guerra non venendo ascoltato, anzi, ha visto il Patriarca Cirillo incoraggiare l’aggressione